Giovedì Santo
Giovedì Santo apre il Triduo pasquale. Questo ultimo non significa tre giorni di preparazione alla Pasqua, ma equivale a Pasqua celebrata in tre giorni, la Pasqua nella sua totalità, quale passaggio dalla passione e morte alla sepoltura, fino alla risurrezione. Prima di consegnarsi alla morte, Gesù affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore per mezzo di questi tre imperativi: 1. Il comandamento dell’amore, “così amatevi anche voi gli uni gli altri”. 2. La lavanda dei piedi, “anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”. E infine, 3. l’istituzione dell’Eucaristia, “fate questo in memoria di me”.
- Il comandamento dell’amore, “così amatevi anche voi gli uni gli altri”. (Gv 13,34). L’imperativo di amare il prossimo è la chiave d’interpretazione di tutta la teologia della salvezza, del sacrificio di Cristo. Dio, in primis, ama il mondo. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.” (Gv, 3,16). Anche Gesù risponde a questo amore. “Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.” Come il Padre e come lui stesso, Gesù ci comanda di amarci sino alla fine, sino al sacrificio. “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv15,13).
- La lavanda dei piedi: “anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. (Gv 13,14). L’imperativo dell’amore cristiano va di pari passo con il servizio. Il vero amore si manifesta nei gesti concreti. L’amore e il servizio sono due facce della stessa medaglia. In questo binomio, Ignazio di Loyola a travato il suo motto: “In tutto, amare e servire”. Il servizio è una esigenza dell’amore sincero e comprende in esso tanta umiltà. “La lavanda dei piedi, (…) non rappresenta semplicemente un atto di umiltà o di ospitalità. Nel racconto di un apocrifo giudeo-alessandrino, composto tra il 100 a.C. e il 100 d. C., che porta il titolo Giuseppe e Asenat, si tratta di un gesto di amore squisito. Asenat è una donna che ama e si offre di lavare i piedi al suo Giuseppe, che però protesta, perché si tratta di un lavoro per schiavi. Ma proprio qui è il punto: l’amore va fino in fondo e la lavanda dei piedi è simbolo dell’evento d’amore che avverrà di lì a poco: la morte e risurrezione. Il messaggio è che, in fondo, per il cristiano, non vi può essere altra lavanda se non quella di morire perché l’uomo – ogni uomo – abbia la vita. Gesù rappresenta il modello.” (Don Massimo Grilli.)
- L’istituzione dell’Eucaristia, “fate questo in memoria di me” (Co 11,24) Il terzo imperativo è “l’obbligo” di fare memoria perché “ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”. Uno che ama si ricorda e rende presente il ricordo dell’amato. Ma l’Eucaristia è più che una memoria, è un memoriale “nel senso che rende presente e attuale il sacrificio che Cristo ha offerto al Padre, una volta per tutte, sulla Croce in favore dell’umanità”. Il carattere sacrificale dell’Eucaristia si manifesta nelle parole stesse dell’istituzione: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi» e «Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi» (Lc 22,19-20).
Il sacrificio dell’Eucaristia e il sacrificio della Croce sono un unico sacrificio. In esso, Gesù ci dà l’esempio di un amore sino alla fine. L’amore che comprende in sé il servizio del prossimo fino al sacrificio della propria vita è il testamento che Gesù ci lascia. Ed è anche il centro della vita cristiana sul quale saremo tutti giudicati. “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Mt 25,40. Gesù, aiutaci ad obbedire ai tuoi comandi, ai tuoi imperativi. Amen.
Don Emmanuel Kilonda,
vicario parrocchiale Sant’Andrea Apostolo, Paliano
Venerdì Santo
Nel Venerdì Santo riviviamo quella che possiamo chiamare l’obbedienza per eccellenza, il momento nel quale il Figlio di Dio si fa obbediente al Padre fino a dare la sua vita per noi, fino alla morte di Croce (Cfr. Fil 2,9).
La passione, la morte e poi la resurrezione di Cristo, come tutta la sua vita, nascono dalla vocazione all’obbedienza al Padre. L’obbedienza nasce da un amore che si è voluto far conoscere, che ha voluto assumere la nostra condizione umana per svelarci il volto del Padre.
La prima lettura di oggi, presa dal libro del profeta Isaia (Is 52, 13 – 53,12) ci introduce a questo grande progetto di obbedienza che ha la caratteristica del silenzio e dell’umiltà.
«Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?»
(Is 53,1), questa domanda ne fa nascere un’altra dentro di noi: «credo realmente a questo annuncio che nasce dalla Croce? Credo in questo atto di Amore supremo?». A volte la nostra fede si basa semplicemente su riti e devozioni che non scavano la profondità dell’Annuncio che nasce dalla Croce. Invece, in noi deve nascere una vera intimità con essa. Solo con la vera conoscenza del mistero della Croce possiamo cambiare la nostra vita e, partendo dalla nostra esperienza, cambiare come piccoli semi la vita di molti. Quando ci succede qualcosa di importante, la nostra vita cambia radicalmente, ci fa diventare annunciatori di quell’evento, di quell’incontro, e ne parliamo con tutti. L’esperienza con la Croce deve far scaturire in noi la stessa reazione. Questo incontro lo viviamo ogni anno nel Triduo pasquale, ma abbiamo l’impressione che sia diventato un appuntamento di routine, un’abitudine, ogni anno è uguale, ormai fa parte della ritualità del cristiano.
Dobbiamo incominciare ad andare in profondità, entrare in quella scena dove la Chiesa – Popolo di Dio – è sotto la Croce (Cfr. Gv 19,22) e vedere quanto amore possiamo trovare. Entrare in quella scena è crudele e difficoltoso, ma allo stesso tempo è un atto profondo di oblazione pura. Dobbiamo guardarla con lo sguardo della fede che ci aiuta a comprendere la profondità di un gesto così grande, allora è qui che la nostra vita cambia, vediamo quella Passione e Morte rivolta a noi stessi e da lì troviamo la forza di essere annunciatori autentici del Kérygma.
In Isaia troviamo anche «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada» (Is 53,6). Essere persi in balia di se stessi non è l’atteggiamento del cristiano autentico, non siamo naviganti che hanno perso la propria rotta, ma siamo dei cercatori di Dio, siamo quei cercatori che sanno bene dove il cammino ci conduce, che hanno sempre il punto di riferimento ben visibile sull’orizzonte del cammino della vita. Sì, è vero che camminando ci possiamo perdere, possiamo diventare delle pecorelle smarrite, ma anche in questo smarrimento la fede, che nasce dall’incontro col Signore, ci dona sempre la certezza, quella vera, che Qualcuno ha dato la vita per noi e per la nostra salvezza.
La Passione e Morte di Cristo è per noi motivo di unione, è il momento culminate dove l’intera Chiesa è adunata davanti a Colui che attira tutti appena innalzato da terra (Cfr. Gv 12,32). Dalla Croce inizia il nostro essere Chiesa, il nostro essere di Cristo. La fede è proprio questo: un’attrazione verso un Amore infinito per sentirci appartenenti a Lui e alla sua Chiesa. «Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore» (Is 53,10). Da quell’offerta che nasce dall’obbedienza siamo stati tutti salvati. Quella discendenza di cui parla Isaia siamo proprio noi, Sua Chiesa, popolo battezzato.
Contemplando la Passione secondo Giovanni (Gv 18,1 -19,42) si nota il gioco delle relazioni che si creano intorno alla figura di Gesù, relazioni che partono da un legameche potremmo definire lontano, privo di profondità con il Signore, superficiale. Di questo tipo ne abbiamo incontrate molte: abbiamo i soldati nel momento della cattura (Gv 18, 3-12); l’incontro con i sacerdoti (Gv 18, 13-32) del tempio che cercano in tutti i modi di ucciderlo perché vedono in Lui un ostacolo; la relazione con Pilato che si lascia interrogare da Gesù e viene mosso dal dubbio (Gv 18,33-37); il rapporto con la folla che lo accompagna fino alla Croce, una folla che non ragiona più in maniera personale, ma globale, che non si interroga più come singolo, ma che diventa massa, dove si perde la propria identità specifica e si ragiona ormai solo sul sentito dire. E molte altre relazioni si vengono a intrecciare con Gesù fino ad arrivare a quelle più profonde, che cambiano le persone e la storia. Da Giovanni, con l’affidamento della Madre, fino ad arrivare alla relazione silenziosa con il Padre, che non lo ha mai fatto sentire abbandonato e per il quale si fa obbediente fino alla morte di croce e «Pure essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9).
Siamo chiamati, nel contemplare la Passione di Cristo, a diventare obbedienti a questo sacrificio che ci ha salvati tutti, un sacrificio fatto per puro Amore. Dunque, nel silenzio di questa giornata, mettiamoci davanti al Crocifisso e preghiamo questo passo del Vangelo per scoprire, o riscoprire, dentro di noi, il Dio che ci ha fatti a Sua immagine e somiglianza e che per noi ha sacrificato il Suo unico Figlio. Dio è un Padre che dice a tutti noi quanto per lui siamo importanti, quanto valiamo (Sal 8).
Don Samuele Orlandi,
vicario parrocchiale San Filippo Neri, Collefiorito di Guidonia
Sabato Santo
Nel 1964 Pier Paolo Pasolini produsse uno dei film più belli e realistici tratti dalla Bibbia: ”Vangelo secondo Matteo”. Non i soliti “Colossal” americani. Molte persone rimasero scandalizzate per le immagini troppo concrete, avendo in mente qualche raffigurazione sdolcinata del Messia del XVIII secolo: occhi azzurri, capelli e boccoli biondi… un po’simile alle immagini del “Sacro cuore” custodite anche nelle nostre chiese e case. Dimenticavano costoro che Gesù, oltre che Dio, era un uomo semita, scuro di carnagione.
Pasolini, come Caravaggio, per i suoi quadri, non ha scelto attori professionisti, ma gente del popolo, presi in giro per il mondo. Addirittura per rappresentare Maria sotto la croce sceglie sua madre ormai anziana.
Fino al Concilio Vaticano secondo, nella Chiesa il Vangelo di Marco era poco letto, con il pretesto di essere il più breve tra i quattro Vangeli. Marco usa parole concrete, non ricercate, frasi che non rispondono sempre alla sintassi: certo, i Vangeli descrivono un mondo orientale con la lingua greca, che è tutto dire! Nel suo vangelo si trovano reazioni imprevedibili, rudi, taglienti, suscitate da Gesù, non riportate da altri evangelisti, che attraverso vari modi addolciscono i racconti di Marco. (Cfr.Mc.3,31-35).
Il brano scelto dalla liturgia per la Messa di Pasqua (anno B) è Mc.16,1-7. Si tralascia il v. 8 che parla della paura delle donne davanti alla tomba vuota.
Alcune note: “passato il sabato…di buon mattino, il primo giorno della settimana…al levar del sole”. Quanta insistenza sulla novità e sulla luce di questo giorno! Siamo ricondotti al primo giorno della creazione: Dio in quel giorno crea SOLTANTO la Luce, non quella del sole, della luna o delle stelle (creerà queste cose solo il IV giorno (Gn.1,14—19). La Luce di cui si parla è la Luce di Dio, invisibile a noi, ma reale (La Sapienza?) (Gn.1,3-5). Tre donne vanno al sepolcro: Maria di Magdala, Maria, madre di Giacomo e Salome. Non c’è Maria di Nazareth, madre di Gesù! Perché? Forse già credeva che Gesù era risorto? La pietra, porta del sepolcro, anche se pesante come una macina da mulino è già stata fatta rotolare. Da chi? Ancora silenzio! Poveri nostri piccoli – grandi ostacoli, davanti alle scelte di Dio!
Un giovane, questa volta vestito di bianco, non un anziano, annuncia la Resurrezione: primavera della vita! Seduto sulla destra: la mano o il braccio destro è la parte più accettata e benvoluta di una persona. (Il nome Beniamino, l’ultimo figlio di Giacobbe, in ebraico significa: Figlio della mia destra!). Se la nostra faccia è rivolta verso est ed allarghiamo le braccia, il braccio destro va verso il sud, parte del mondo più calda, la sinistra verso il nord, parte del mondo più esposta al freddo. Vestito di una veste bianca; due giovani appaiono nel racconto della passione di Marco: uno nel Getsemani vestito solo di un lenzuolo bianco. Poi, correndo per paura di esser preso, lascia cadere il lenzuolo e corre via nudo (Mc.14,51-52)! Ancora per paura? Il secondo giovane siede a destra nella tomba vuota. Chi sono? Non si parla di angeli, ma di giovani! Personificazioni dello stesso Marco, che, con il suo vangelo annuncia prima con paura la cattura di Gesù, poi con sicurezza la sua Resurrezione? Forse!
Il verso 8 del testo: “Ebbero paura, infatti!”, finale di tutto il vangelo non viene riportato nella liturgia. Ancora: Perché? Certo è una chiusura molto strana per un vangelo, ma questo è lo stile di Marco! Pasolini a chiusura del suo film, dopo tante fotografie concrete e realistiche in bianco e nero, sorvola sulla resurrezione: solo con una grande luce bianca sulle case dell’antica Matera!
Don Ubaldo Quondamcarlo,
parroco in San Lorenzo Martire, Zagarolo
Domenica di Pasqua
Alleluia! Alleluia! Alleluia! Cristo ha vinto la morte! Egli è il Risorto, Colui che morendo ha ucciso la morte (cf. Os 13,14 volgata). Perché non era possibile che questa tenesse in suo potere la Vita (cf. At 2,2; 1Gv 1,2). Tutto l’universo, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente esteso, si concentra in Questo Evento. Tutta la storia, di tutti i tempi, trova sintesi in Questo Avvenimento. Tutta la Sacra Scrittura ha parlato e parla del Vangelo della Risurrezione.
La liturgia quaresimale ha dissodato il terreno del nostro cuore, così come l’inverno con i suoi silenzi prepara sapientemente l’avvento della primavera, esultante di colori e profumi. Quest’anno però, come e più dello scorso, la Santa Quaresima ha portato con sé il peso della pandemia, quasi un deserto che inaridisce i giorni e gli spiriti di noi uomini. Siamo spaventati e confusi; c’è un sottofondo di tristezza e smarrimento che segna le nostre giornate. Forse per ciò, quest’anno la Pasqua assapora in modo tutto speciale di Risurrezione. Per chi volge «il pensiero alle cose di lassù», come ci invita a fare l’Apostolo (Col 3,1- 2). C’è chi, al contrario, non riesce a staccare lo sguardo dal sepolcro sbarrato delle sue umane aspettative, improvvisamente frustrate da questo “nemico invisibile”. Chi proprio non riesce a oltrepassare il valico del Sabato Santo per fare miracolosamente ingresso nella gloria dell’Ottavo Giorno. Le letture della Veglia di Pasqua hanno scandito l’Alleanza stipulata da sempre da Dio con l’umanità, un patto d’eterno e irrevocabile Amore che dall’alba della Creazione giunge sino all’aurora della Risurrezione, la Nuova Creazione in Cristo, nuovo Adamo. Passando attraverso i patti incompleti stretti con gli Antichi Patriarchi e il Popolo Eletto, e risuonando nelle voci dei profeti che annunciavano il Dono Messianico dello Spirito Santo, capace di fare alleanza nel cuore degli uomini. Proprio dal nostro cuore dobbiamo Oggi ripartire, dall’intimità del nostro essere, per rileggere i segni indelebili del passaggio di Cristo, morto e risorto, nella nostra vita, attraverso il Battesimo.
Questo l’invito di Paolo nell’Epistola Pasquale (cf. Rm 6,3- 11). Tali segni, spesso offuscati in noi dalla dimenticanza e distrazione, ci rendono presente che siamo misticamente morti e sepolti in Cristo, il quale nella sua morte ha definitivamente seppellito il mondo del peccato, con il suo principe, il diavolo. In Cristo Risorto siamo creature nuove. Sta ora a noi, a ciascuno di noi, decidere con la mente e la vita se camminare da risorti con il Risorto, oppure fare un passo eterno indietro e ripiombare nella tomba dei nostri peccati. Allora, perché si faccia giorno nella nostra coscienza, torniamo alle prime ore del mattino seguente il sabato, narrate dall’evangelista Marco. Facciamo nostra la sollecitudine amorosa delle donne, che di buon mattino accorrono al sepolcro, per compiere la pia opera dell’unzione del cadavere di Gesù. Il loro cuore è ammantato di umana tristezza, ma al contempo pare essere animato da un’indecifrabile speranza. Mentre tutto l’universo annuncia il Rinnovamento Pasquale attraverso i segni che accompagnano i passi affrettati delle donne: il levare del sole, la pietra rotolata.
Ed è proprio dalle labbra di un giovane – a voler indicare il ringiovanimento cosmico operato dal Signore Risorto – che odono l’annuncio sconvolgente della Pasqua: “Voi cercate un morto, ma qui dove giaceva il suo cadavere, Egli non c’è più. Questo sepolcro è vuoto! Egli davvero vive! Realmente ha infranto le catene della morte, che non ha più potere su di Lui! Perciò non abbiate paura! Rallegratevi ed esultate! Andate e annunciate la Bella Notizia ai vostri fratelli!”. Questo annuncio ha attraversato i mondi e i secoli. Oggi giunge a noi, afflitti dalla pandemia. Ciascuno, poi, ha la sua personale croce. Ma il Vangelo della Risurrezione non ha perso forza, ha la stessa vitalità di sempre. È un sole che sorge, un peso rimosso, una giovane voce colma di vita … e infinitamente di più. È Vita Eterna, eternamente innestati in Dio che è Vita e Beatitudine (cf. Mt 22,32). Felicità vera che Dio solo può donarci, perché «ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in Te» (Sant’Agostino, Le Confessioni, I,1,1).
Nel prosieguo del Vangelo di Marco, omesso in questa domenica, si dice che le donne «non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (Mc 16,8). La paura gioca dei brutti scherzi, fino a seppellire nuovamente nel silenzio del nostro cuore il Cristo Risorto. «Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo», ammonisce Paolo (Rm 10,9). Chi incontra il Risorto autenticamente, vive di fede e di amore profondi, che traboccano nell’annuncio verace del Vangelo della Salvezza. La paura, al contrario, ci fa diventare sordi e muti, incapaci di ascoltare l’annuncio della Domenica e di trasmetterlo agli altri. Essa è come un termometro della nostra fede e amore: piccoli nella misura in cui paralizza cuore e labbra, e vita.
In un certo senso, la paura è il peccato più grave, perché è l’opposto di quella fiducia che infonde la Pasqua di Risurrezione. «L’amore perfetto scaccia la paura», ci ricorda l’Apostolo prediletto (1Gv 4,18). Dobbiamo anche noi fare attenzione a non nascondere nella terra il talento della Vita Eterna che il Signore ci ha consegnato nel Battesimo, come quel servo malvagio della parabola matteana, soggiogato dalla paura (cf. Mt 25,25). Un tale pericolo si fa tanto più reale in questo tempo di pandemia, che grida nel profondo dei cuori, nella quotidianità delle conversazioni e dai “tetti” dei notiziari: «Paura!». Ma il Risorto non cessa di gridare anche Oggi, più forte, soavemente: «Non abbiate paura! Io ho vinto la morte, tutte le morti!».
Lasciamo che il Suo Spirito, effuso senza misura dalla Sua Pasqua, gridi in noi, nelle nostre conversazioni, nei luoghi pubblici, soavemente, più forte dello spirito del male, dello spirito del maligno, che vuole farci credere che non c’è più speranza per noi. Gettiamo ogni giorno il nostro cuore oltre l’ostacolo delle nostre fragilità, per ascoltare questa parola del Signore: «Non essere più incredulo, ma credente» (Gv 20,27); perché «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37; cf. Lc 18,27). La sola ragione non basta. Lo sperimentiamo. In particolare “quando l’acqua ci giunge alla gola” e non ci sono più risposte umane. Ci educhi lo Spirito Santo a credere e ad amare, a professare e vivere la fede, nella Chiesa e con la Chiesa, perché non mandiamo perduto il frutto di beatitudine che ci ha meritato Cristo, e possiamo con Lui vincere ogni morte, presente ed eterna. Sappiamo con la Beata Vergine Maria – Colei che nell’Annunciazione ha creduto (cf. Lc 1,45) e nella Passione amato (cf. Gv 19,25-27) – e tutti i Santi, ripeterci gli uni, gli altri: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,35-39). Nemmeno la pandemia.
Don Franco Ferro,
vicario parrocchiale in San Giuseppe Artigiano, Villanova di Guidonia