Accogliamo la Parola di questa domenica con la quale Dio stesso, nello scritto dell’evangelista Giovanni, interpella la nostra fede e la nostra umanità. È un vangelo che ci riporta all’origine, non solo temporale, bensì di senso. C’è un principio al quale occorre sempre tornare per riscoprire la luce della verità. E in questo cammino si arriva a riappropriarsi di una consapevolezza: “il Verbo (la Parola) era presso Dio e il Verbo era Dio”. Dio è il Dio della Parola e quindi della relazione, non è chiuso in se stesso, pago della Sua divinità, ma è sempre aperto, capace di uscire da se stesso per incontrare ed entrare in relazione con l’uomo.
Da sempre la Scrittura ci presenta Dio in questa apertura: Dio è Dio del dono, Dio della creazione, Dio della vita, Dio della luce. Questa uscita della Parola di Dio da Dio stesso non è cessata con la creazione, perché la Parola è stata all’origine della creazione dell’uomo stesso “Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine” e da quel momento è stato Dio della relazione con l’uomo al quale ha offerto l’Alleanza e verso il quale è sempre stato aperto, andando oltre ogni infedeltà, ogni rottura, ogni trasgressione e sempre offrendo nuove possibilità di vita. Così ci attesta la Scrittura. Questo cammino giunge al pieno compimento quando la Parola assume la carne, è entrata nel tempo e ha piantato la sua tenda tra di noi, in un uomo nato da una donna e dal Soffio divino: Gesù di Nazaret. La Parola si fa fragile, assume un volto, una storia. Dio assume un volto e la relazione diventa piena proprio grazie alla “carne” di Gesù, la relazione diventa pienamente umana poiché Dio in Gesù diventa Padre. La Parola che si fa carne porta frutti essenziali nella storia: Dio diventa visibile e si avvicina divenendo Padre, presenza essenziale per chi accoglie di essere figlio. Dio diventa a portata di cuore e a portata di mano. E questo è lo scandalo della nostra fede, è lo scandalo comprensibile solo se letto in un’ottica di amore. Perché chi ama non teme di avvicinarsi e mettersi nelle mani dell’amato.
Questa Parola è da ascoltare, da contemplare, ma anche da accogliere nella nostra vita. Se lo vogliamo essa porta luce nuova in noi e fuori di noi. Ci viene detto che “a coloro che l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (v.12), generati da Lui. La Parola allora diventa generativa in noi di una nuova umanità. Pensiamoci! Chi è il figlio? È colui che riceve la vita dal padre, è colui che al padre è legato in modo essenziale, è colui che porta sul suo volto i lineamenti e la somiglianza del padre.
Accogliere la Parola è accettare dunque di essere generati alla vita di Dio e permettere che Dio diventi sempre più essenziale riferimento per la nostra vita. Non una delle tante certezze e presenze che costellano la vita e dalle quali attingiamo senso per vivere, in quel “politeismo esistenziale” che c’è anche in noi, molto spesso, quando crediamo in Dio, magari lo preghiamo, lo celebriamo ma poi la nostra vita è costruita su altro o su altri. Dio vuole diventare sempre più l’unico Signore, l’unico essenziale per noi! Ed è un cammino di conversione mai terminato e sempre da ricominciare.
La fede poi è una fede che si fonda sull’incarnazione: cioè sul farsi carne della Parola e assumere un volto. Questo mistero del “dare carne” deve fondare anche la nostra fede! Essa non deve rimanere parole, principi, teoria, emozione, ma deve diventare carne, cioè assumere la concretezza di gesti e atteggiamenti. Non basta parlare di amore, ma occorre amare; parlare di perdono, ma perdonare; parlare di giustizia, ma essere giusti. Occorre scegliere di parlare più che con la bocca con la vita nella sua concretezza. Gesù, nell’incarnazione, ha dato un volto a Dio. “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (v.18). E conferma tutto ciò quando a Filippo dirà “chi vede me vede il Padre” (Gv. 14,9). Ecco l’altro grande dono e insieme la sfida che la fede ci consegna. Essere cristiani non è semplicemente credere in Gesù, ma è essenzialmente accettare di vivere “in” e “come” Gesù affinché si possa dire di noi: “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me” (Gal.2,20). Ciascuno è chiamato ad accogliere la proposta di lasciarsi trasformare, “cristificare” mediante l’ascolto della Parola, i Sacramenti e l’appartenenza comunitaria per giungere a pensare, guardare la storia, parlare e agire come Gesù. “Cristificati” per diventare “cristofori” portatori di Cristo nei tratti della propria umanità, uomini e donne che somigliano sempre più a Gesù. L’annuncio che ciascuno è chiamato a portare nel mondo non è “Dio esiste”, bensì “io l’ho incontrato”. E questo a volte è il problema: non tanto credere che Dio esiste, ma che tanti uomini e donne, che si dicono “cristiani”, lo abbiano davvero incontrato. È un richiamo ad una fedeltà che investe tutti noi; è un richiamo a incarnare sempre più la fede celebrata e creduta, nella nostra umanità concreta. Perché ancora oggi “Dio nessuno lo ha mai visto”… proprio i cristiani con la loro vita scaturita in Gesù lo rivelano.
Gianluca Zelli,
parroco Ss.ma Trinità – San Giuseppe, Monte Livata, Subiaco