Introduzione al tema del giorno
La festa del battesimo di Gesù ci offre un’occasione privilegiata per ripensare alla nostra identità cristiana e alla missione di cui siamo portatori. Le letture, infatti, presentano due figure, che la tradizione cristiana ha strettamente congiunto: il servo di JHWH e Gesù di Nazareth, ambedue investiti di un mandato impegnativo, un’esistenza che non ha nulla di convenzionale. Nonostante l’apparente sconfitta dei due, la loro missione raggiunge il compimento.
Per leggere e comprendere
La vicenda di Gesù, intrecciandosi indissolubilmente con quella del servo di JHWH, ci offre la certezza che la speranza dell’Antico Testamento non è stata delusa. Il brano evangelico, infatti, presentandoci le prime parole che Gesù pronuncia rivolgendosi al Battista, parla di giustizia: «Lascia per ora, perché così adempiamo ogni giustizia». Che questa dichiarazione sia importante è evidente non solo dal fatto che è la prima dichiarazione di Gesù, ma anche dalla centralità del compimento della giustizia in Matteo. Il contesto battesimale, in cui essa viene proferita, fa in modo che queste parole diventino una sorta di autografo, che permette di identificare Gesù e la sua missione.
A Giovanni, che non intende battezzare una persona più degna di lui, Gesù lascia intendere che questo fa parte della giustizia di Dio, ossia del suo disegno salvifico, di fronte al quale egli non intende ritrarsi. Le rimostranze del Battista erano dettate da una comprensione distorta del Regno, come se si trattasse di un luogo dove le categorie del “più degno” e del “più grande” abbiano ancora senso. A questa comprensione Gesù contrappone, invece, la prospettiva del Messia mite e umile, che si sottomette al disegno del Padre, e si mette in fila con i peccatori, per essere battezzato. Alla scalata verso l’alto, Gesù oppone il cammino verso il basso, in obbedienza alla volontà del Padre.
I simboli dell’evento battesimale manifestano l’assenso di Dio a questa scelta del Figlio. La bella immagine della colomba rende in maniera sublime il mistero di un Dio inaccessibile, eppure presente come nessun altro. Nell’Antico Testamento e nel Giudaismo, lo Spirito non viene mai presentato con l’immagine della colomba, e tuttavia, nella Genesi, il suo movimento viene paragonato a quello di un uccello (cf. Gen 1,2). Tant’è vero, che un testo rabbinico parla dello Spirito come di un volatile «che aleggia sopra i suoi piccoli, vicino vicino, senza toccarli». La voce dal cielo che proclama: «Tu sei il mio figlio amato» è la conferma di questa presenza del Padre, che accompagnerà il cammino del Servo sulle strade dell’uomo. La discesa nell’acqua e la risalita – che nell’antichità contrassegnava il rito del battesimo – riflette profondamente questa verità di Dio e dell’uomo, una verità che Cristo ha incarnato nella sua vita e che il battesimo ha prefigurato: l’amore solidale, che scende nell’abisso dell’esistenza malata e colpita, è la sola forza capace di riportare la vittoria sul peccato e sulla morte. Gesù ha vinto la morte, perché è entrato nella notte oscura dell’uomo, facendosi a lui solidale. È per questo che Matteo, nel suo vangelo, mostrerà Gesù commensale dei pubblicani e dei peccatori e, nel bel mezzo della sua opera messianica contrassegnata da miracoli, inserirà il brano del Servo di JHWH: «Ha preso le nostre debolezze e ha portato le nostre infermità» (Mt 8,17). Non lo spettacolo dei miracoli, dunque, appartiene all’era messianica, ma il caricarsi delle debolezze umane, condividendo la fragilità e l’impotenza. Qualcosa di inimmaginabile per la sapienza umana. Ma questo è il biglietto da visita del Dio cristiano: l’impotenza ha il potere di salvare, quando è una scelta d’amore.
Interrogativi per attualizzare
- Ascesa verso l’alto e discesa verso il basso ci riguarda tutti. Dove corriamo?
- Che senso ha avuto il battesimo nelle nostre scelte di vita? Lo viviamo ancora?
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano