Introduzione al tema del giorno
Tenebre e luce, inimicizia e pace, morte e vita… costituiscono lo sfondo contraddittorio delle letture bibliche di questo Natale. E, in primo piano, un bambino, con il suo fascino e la sua fragilità, il suo mistero e il suo destino. Si sa, i simboli raggiungono delle profondità che le parole non riescono ad avvicinare, ed è naturale che la liturgia ci presenti oggi un’abbondanza di simboli, per descrivere un mistero indicibile: Dio che diventa uomo.
Per leggere e comprendere
Per tutti noi, credenti in Cristo Gesù, il bambino che nasce a Betlemme rappresenta il «sì» definitivo di Dio alla storia del creato, dei singoli e dei popoli. Dio ha stabilito di amare “questo” mondo e “questo” uomo, senza ripensamenti, e ce lo ha detto con il Natale del suo Figlio.
Il racconto di Luca s’inquadra in questa prospettiva. L’accenno iniziale alla storia dell’impero romano, con la menzione dell’imperatore e di Quirinio governatore della Siria da parte di Roma, non ha primariamente lo scopo di offrire le coordinate inoppugnabili di un evento storico. Luca vuole anzitutto fare una teologia della storia, mostrando come Gesù risponde alle attese di Israele e dell’umanità. Non a caso, l’opera di questo evangelista – comprendente il Vangelo e gli Atti – inizia con Gerusalemme e si conclude con l’arrivo di Paolo a Roma. Il bambino che nasce dà senso alla storia di tutta l’umanità, trasformando – come intuisce Origene in una bella omelia sul Natale – il censimento in un libro di vita.
Giuseppe, che si mette in viaggio con la sposa e il bambino nel grembo di lei, non è un girovago, senza scopo e senza senso. Il loro viaggio si inserisce in un piano più ampio, quello divino, dove ogni gemito viene ascoltato, ogni sospiro considerato. Intenzionalmente Luca posa la macchina da presa su una povera famiglia della città di Nazareth, sullo sfondo dell’impero romano, con i suoi imperatori e i suoi legati. Il cammino di Dio passa sulle strade dei poveri: Zaccaria, Elisabetta, il vecchio Simeone, Anna, Giuseppe e Maria… sono gli anawîm JHWH, “i poveri di JHWH”, che aspettano la salvezza dal Signore piuttosto che dai poteri forti. Per lo stesso motivo, Luca insiste sulle fasce e sulla mangiatoia, segni modesti e disadorni. È lo stile di Dio che non offre segnali appariscenti della sua presenza. L’uomo, che vorrà incontrarlo, dovrà imparare a riconoscerlo nel grido del povero, nel vagito di un bambino, nel silenzio di un dannato. Ai pastori, gli angeli danno come segno «un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoria». Ebbene, questo bambino è l’oggi della salvezza divina offerta a ogni uomo, il salvatore che libera e perdona i peccati, il Cristo Signore che vince la morte. Questo bambino è il «sì» che Dio, senza pentimenti, pronuncia sull’uomo e sulla storia.
E se Dio, nel suo Figlio, una volta per tutte, ha voluto pronunciare il suo «sì», ciò significa che ogni creatura è meritevole di accoglienza e nessuna vita è indegna di essere vissuta. Se Dio ha pronunciato il suo «sì», abbiamo la certezza che quell’essere irrequieto, nostalgico, malato, assetato… che è l’uomo, potrà trovare una risposta ai suoi interrogativi. I gemiti della creazione, dell’uomo e dello Spirito (cf. Rm 8) non sono più i rantoli di un morente, ma i dolori di una partoriente, che attende con impazienza la nascita di «un cielo nuovo e una terra nuova…, la città santa, la nuova Gerusalemme…» dove Dio «asciugherà ogni lacrima dagli occhi», e dove «la morte non ci sarà più, né lutto, né grido, né pena, perché le cose di prima sono scomparse» (Ap 21,1-4).
Interrogativi per attualizzare
- L’incarnazione del Figlio di Dio ha ancora un senso per l’uomo di oggi? E per me, per noi?
- Natale non è lo stesso per chi ha pane e chi non lo ha, per chi è libero e chi non lo è, per chi vive e per chi muore… Cosa fare?
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano