Introduzione al tema del giorno
Dire Trinità significa dire Volto di Dio. Nella lingua ebraica, il Volto viene espresso da un vocabolo che non ha il singolare, ma solo il plurale: Panim! Quasi a dire che Dio è uno e molteplice, “tremendum et fascinans”, assolutamente insondabile eppure vicino, totalmente altro eppure prossimo, separato ma in relazione. Dio è mistero, perché è l’Amore. Trinità e amore sono un unico mistero. Non possono esistere separatamente: l’una non può stare senza l’altro. Come l’amore, la Trinità è un mistero trascendente ma vicino; nascosto, ma rivestito di luce abbagliante, forza estrema ma discreta, che provoca vertigini ma guarisce… Un Dio inaccessibile e personale, che può essere conosciuto e amato come Padre, Figlio e Spirito.
Per leggere e comprendere
Il mistero di Dio è quello dello Spirito «che ci guida alla Verità tutta intera», rivela Gesù nel Vangelo di oggi. I pochi versetti di Giovanni sono di una densità impressionante, perché dall’affermazione dell’incapacità umana di comprendere e portare il mistero di Dio, conducono alla necessità di una rivelazione dello Spirito. La tradizione cristiana ha continuamente e giustamente insistito sulla prossimità di Dio, sulla sua accessibilità e sulla sua presenza. E, tuttavia, esiste un’altra dimensione biblica, altrettanto reale, senza la quale il Dio vicino rischia di diventare uno strumento nelle mani dell’uomo, qualcuno di cui l’uomo può disporre e servirsi. Quest’altra dimensione di Dio si chiama alterità, libertà, mistero. Nell’accezione moderna, il mistero evoca quasi naturalmente il senso del limite e il termine è diventato sinonimo di ignoranza. Non era così nell’antichità, e senz’altro non è così nella Bibbia. Perché, in fondo, è proprio nella vicinanza, nella reciprocità intima di dedizione e di amore che si sperimenta il mistero. Si può essere veramente vicini solo quando si riconosce la distanza, solo quando si riconosce l’altro come “altro” da noi. Si è capaci di amare un uomo o una donna solo quando se ne riconosce e se ne adora il suo insondabile mistero. L’amore è – allo stesso tempo – l’espressione più intima di vicinanza e il mistero più grande. Particolarmente l’amore divino, perché essere amati da Dio si chiama Gesù, e amare Dio si chiama Spirito Santo. È il mistero della Trinità. Dire Trinità significa, insomma, dire “mistero”. È stato detto che l’uomo moderno non ama il mistero, attratto com’è dal calcolo e dall’utilità, ma il mistero della Trinità non schiaccia l’uomo, non lo umilia.
Queste riflessioni non sono “common sense”, non possono essere raggiunte dalla sola intelligenza umana: per questo abbiamo bisogno di una rivelazione, di Qualcuno che ci guida alla Verità, tutta intera. Abbiamo bisogno dello Spirito per capire noi stessi, per capire l’essere umano, per capire Dio e Cristo Gesù, suo Figlio. Questo significa che «in principio» non si dà il nostro agire, i nostri progetti e le nostre costruzioni…, ma – come afferma la prima lettura – la Sapienza di Dio, che dona vita e armonia all’universo. «In principio» non stanno le cose, ma la Relazione d’Amore che unisce Padre, il Figlio e lo Spirito, che «non abita in templi costruiti dalle mani dell’uomo», pur essendo vicino a ciascuno di noi, perché in lei «noi viviamo, ci muoviamo e siamo» (At 17,25-28). E se, da una parte, questo lascia intravedere la piccolezza dell’uomo – perché, in ogni caso, la sua scienza è, e sarà sempre, la scienza del giorno dopo – dall’altra, mostra come il piccolo uomo sia immerso nel grande Mistero di Dio: il mistero della Trinità.
Interrogativi per attualizzare
- Quale spazio ha il “Mistero” nella nostra predicazione e nelle nostre liturgie?
- Non rischiamo anche noi – cristiani del XXI secolo – di giudicare tutto e tutti sulla base del calcolo e dell’utilità?
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano