Commento al Vangelo per la Domenica delle Palme /A

Introduzione al tema del giorno
La lettura della passione secondo Matteo è il cuore dell’odierna liturgia della Parola. Uno studioso ha definito i vangeli come “racconti della passione con un’ampia introduzione”. In effetti, si rimane meravigliati dello spazio che i racconti danno a soli due giorni della passione e morte di Gesù, rispetto agli anni della sua predicazione. Eppure, paradossalmente, il mistero della croce si è allontanato dal nostro orizzonte cristiano e, forse, anche dal nostro insegnamento ecclesiale e parrocchiale, proiettati come siamo alle opere socialmente utili e alla costruzione di una città a misura d’uomo. Valori autentici, intendiamoci, ma che non possono prescindere da una profonda comprensione del significato della croce nella vita di fede e nella vita quotidiana. Una riflessione sulla croce di Gesù non significa però “dolorismo” emozionale o spirito di rassegnazione di fronte al male. La croce di Gesù costituisce il senso profondo dell’esistenza dell’uomo, il senso ultimo del cammino di liberazione. Ed è in questa ottica che va letta la passione secondo Matteo.

Leggere e comprendere
La croce di Gesù dice anzitutto che ogni vita conosce la presenza di Dio dentro l’esperienza di abbandono e di assenza. Matteo (come Marco) parla delle tenebre che avvolsero la terra «dall’ora sesta fino all’ora nona» e del grido di Gesù che, a gran voce, esclamò: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Per l’evangelista, dunque, la passione e morte di Gesù è anzitutto tenebra e giudizio. Gesù appare solo e abbandonato: neanche Dio risponde al suo grido. Nella sua persona esperimenta la riprovazione degli uomini, il tradimento degli amici, ma anche l’abbandono di Dio. Sembra di ascoltare le grida di milioni di uomini che chiedono, come lui, «perché ci hai abbandonati?».

Ed ecco che, improvvisamente, quando la vita si è ormai spenta e tutto sembra finito, la voce di un centurione pagano che proclama: «Quest’uomo era veramente figlio di Dio». Un cambio di prospettiva radicale, perché l’atto di fede di un pagano testimonia che in quell’uomo condannato, in quell’uomo solo e abbandonato, in quelle tenebre… abita Dio. Viene alla mente il primo libro dei Re: «Dio ha voluto abitare in una nube oscura» (8,12). Questo significa che anche le tenebre testimoniano la presenza e la fedeltà di Dio, la sua estrema solidarietà con l’uomo. La morte di Gesù come un malfattore attesta che l’amore di Dio trova la strada per arrivare fino alla morte del colpevole, e la morte di Gesù come un uomo abbandonato testimonia che l’Amore non abbandona l’uomo nemmeno là dove egli dispera per l’abbandono di Dio. Se Gesù muore in un inferno di peccato e di solitudine, e se in quel momento Dio è presente, allora significa che nessun inferno ha il potere di lasciare Dio fuori della sua porta. Proprio come recita una vecchia preghiera della chiesa ortodossa: «Tu sei venuto a cercare Adamo sulla terra, ma non ve lo hai trovato e allora sei sceso negli inferi». E difatti, nel Credo apostolico, noi professiamo: «Morì, fu sepolto, discese negli inferi e il terzo giorno risuscitò». Un altro testimone, nostro contemporaneo, ha lasciato scritto: «Oh quanti cercate, state sereni. Egli per noi non verrà mai meno e lui stesso varcherà l’abisso» (Turoldo). Nessun uomo potrà mai disperare dell’incontro con Dio, anche quando avesse fatto della sua vita una vita d’inferno. Dio stesso varcherà l’abisso, perché lui non ha paura dei nostri inferni.

Interrogativi per attualizzare

  1. Quali sono le nostre domande e le nostre risposte alla sofferenza umana? Quale attenzione riserviamo ai sofferenti e ai crocifissi della nostra comunità?
  2. Di quale annuncio cristiano siamo messaggeri? Quali temi ricorrono più spesso nella nostra catechesi e nella nostra predicazione?

Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano