Introduzione al tema del giorno
Un filo rosso attraversa le letture di questa liturgia di inizio-avvento; un tema che potrebbe essere reso con la pregnante espressione paolina, tratta dalla seconda lettura: siamo in un momento cruciale.
Paolo utilizza un termine tecnico: kairós (Rm 13,11), che significa proprio tempo opportuno, decisivo, particolare. In effetti, i tre passi odierni della Scrittura ci presentano situazioni particolari, in cui il credente è chiamato a discernere, con gli occhi della fede, il senso degli eventi che gli stanno davanti e a decidere con sapienza. “La fine dei giorni” evocata da Isaia non è altro che la novità di Dio, il mondo che il Signore sta preparando, e che l’uomo credente deve imparare a scoprire e a edificare. E la sonnolenza, a cui pensa Paolo è quella dei credenti che non sanno più leggere la storia in termini di salvezza ormai vicina: non hanno più lo sguardo profondo della fede autentica immersi come sono nell’umano, vivendo ed esaurendo le proprie attese da uomini mondani. In questo contesto va letto il passo di Matteo, l’evangelista che ci accompagnerà in questo anno liturgico.
Per leggere e comprendere
Il testo del vangelo di Matteo è tratto dal cosiddetto discorso escatologico, originato da una doppia domanda posta dai discepoli: quando sarà la fine e quali saranno i segni della venuta del Signore (Mt 24,3)? Domande poco confacenti alla fede, perché nascondono una visione della parusia legata a un futuro straordinario e a segni portentosi. E infatti, nella sua lunga risposta, Gesù riporta continuamente i discepoli a un discernimento ancorato alla storia: quella personale e quella del mondo. I due uomini nel campo e le due donne al mulino rappresentano l’ordinarietà della vita, con le sue occupazioni e i suoi doveri. Dunque, bisogna discernere i segni della venuta del Signore nella situazione dove si è posti, nell’ordinarietà del vivere quotidiano.
A questo scopo viene addotta la comparazione con il tempo di Noè, fatta non sulla base della corruzione dilagante o del disastro straordinario che ne derivò, ma su quella della sorpresa. In effetti, al tempo di Noè, gli uomini mangiavano, bevevano e si sposavano… tutte cose irreprensibili, che si tramandano di generazione in generazione. Il punto messo in luce dalla lettura, perciò, non è la malvagità dei comportamenti umani meritevoli di castigo, ma l’indifferenza dei credenti: vivere come se il Signore non dovesse mai venire. L’immagine del ladro nella notte può lasciare qualche perplessità, se si connette troppo strettamente alla venuta del Signore, ma rende in maniera plastica un evento inaspettato. L’uomo non deve farsi cogliere impreparato.
Il testo, però, esprime qualcosa di più. L’immagine dei due uomini che lavorano nei campi o delle due donne che lavorano alla mola e che saranno divisi rappresenta chiaramente il giudizio: uno sarà salvato e l’altro sarà lasciato al suo destino di dannato. Perché? Il testo non lo dice; si tratta di un discorso che viene approfondito in altri contesti. Quello che importa qui è un’altra cosa: la venuta del Signore non sarà indolore, perché essa rappresenterà, per ciascuno, il momento della verità. Bisogna prepararsi, dunque, perché la verifica è sempre un momento cruciale nella storia di ciascuno e questo momento non va vissuto nell’indifferenza, come se non dovesse mai avvenire. Nel Primo Testamento il giorno del Signore era connotato sempre dalla salvezza e dal giudizio. Sarà così anche alla venuta del Signore Gesù: vigilare significa aspettare quel giorno, nella consapevolezza che ogni istante è,
per ciascuno, un appello del Signore, che attende una risposta.
Interrogativi per attualizzare
1. Siamo ancora capaci di “attesa”? Le nostre comunità vivono la tensione verso “Colui che staper venire”?
2. “Avvento”: una parola impegnativa per chi crede. Come viverlo?
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano