Introduzione al tema del giorno
La scorsa settimana si metteva in luce la figura del profeta disarmato e di Gesù servo obbediente che si sottomette alla volontà del Padre, mettendosi in fila con gli uomini fragili e impotenti. Anche nelle letture odierne ritorna la misteriosa connessione tra la missione del servo e il servizio di Gesù “agnello di Dio”: una relazione stretta, fondata sulla fedeltà a Dio e sull’amore per l’uomo.
Per leggere e comprendere
Gli accadimenti raccontati appartengono al vangelo di Giovanni e, propriamente, alla settimana inaugurale, che Giovanni pone come primo pannello di tutta la narrazione evangelica. Subito dopo il prologo, infatti, la prima sezione narrativa del quarto Vangelo presenta – uno dopo l’altro (cf. «l’indomani») – i giorni di una settimana (1,19–2,12), con diverse scene che si succedono. La lettura odierna ci descrive il secondo giorno di questa settimana: una giornata in cui Giovanni presenta Gesù con una formula misteriosa e audace: ecco l’agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo.
Nel quarto Vangelo, la figura dell’agnello è molto suggestiva se si pensa che, nel momento supremo della passione e della croce, Gesù verrà presentato come “l’agnello pasquale”. La figura dell’agnello è vicina a quella del servo e forse non è un caso che, in aramaico, esista un solo vocabolo per indicare sia l’uno che l’altro. Quando Isaia aveva presentato il servitore di JHWH nel quarto canto, lo aveva descritto come un uomo trafitto per i nostri delitti e per le nostre iniquità, come “un agnello condotto al macello”. Come nessun altro animale, l’agnello era l’animale sacrificale preferito nell’antichità, sempre docile, nelle mani di chi lo immolava. In questo modo, la figura del servo e l’immagine dell’agnello presentano una profonda rispondenza, perché ambedue rimandano a un’immagine scandalosa di Dio: un Dio mansueto, che non abbatte e non s’impone.
Oggi, come ieri, la figura di un Dio povero e mansueto desta scandalo, perché oggi come ieri i mansueti non contano, vengono messi ai margini. Essere combattivi e competitivi non è solo una garanzia di successo, ma è la regola stessa del progresso umano: lo sentiamo ogni giorno. La salvezza dell’umanità non può essere posta nelle mani di uomini che non alzano la voce e non affermano con forza il proprio diritto. Il Vangelo ci presenta un’altra via, quella che Dio ha percorso: “il peccato” è vinto da un uomo sconfitto dai poteri di questo mondo, da un uomo condotto al macello come un agnello mansueto.
Giovanni parla del peccato al singolare e non dei peccati, e lo fa per dodici volte nel suo Vangelo, per indicare la menzogna collettiva che avvolge, come una grande cappa, uomini e istituzioni. Viviamo in un contesto di peccato e di menzogna: questa è la verità. E non solo nel mondo, anche nella chiesa. Ma fermarsi qui non basta. Il cristiano è colui che lotta per sconfiggere la menzogna e il Battista testimonia che il peccato può essere sconfitto. Ma come? Con quale forza? La risposta è nella fede che osa! Ecco la testimonianza del Vangelo e, direi, di tutta la Bibbia. Lo diceva già Isaia: se non credete non avrete stabilità. La fede che osa, la fede che contesta strutture e apparati di ingiustizia e di menzogna, è alla radice del cambiamento. La fede è la forza dei miti, che scelgono di morire per fecondare la terra con il loro sangue. L’agnello è l’immagine più appropriata dei miti. Nel modo di leggere Dio, assistiamo spesso a una contaminazione di pensieri, che ci conduce a ritenere Dio come essere maximus in tutti i campi. Che Dio possa risultare vincitore perché ama e muore per amore, è inconcepibile per una certa teologia metafisica, ma è il cuore della teologia cristiana.
Interrogativi per attualizzare
- Ancora una volta è in gioco la nostra concezione di Dio. In “quale” Dio crediamo?
- Quale posto ha la “mansuetudine” nei nostri comportamenti?
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano