Introduzione al tema del giorno
La liturgia di questa seconda domenica d’avvento sembra attraversata da un contrasto stridente: da una parte il paesaggio paradisiaco della prima lettura, abitato da pace e giustizia… e dall’altra le parole severe e veementi del Battista che parla di scure posta alle radici degli alberi, di ventilabro e fuoco distruttore e, dunque, di giudizio. Messaggi così dissonanti potrebbero generare perplessità, ma anche stimolare interrogativi e riflessioni. Il messaggio del Battista, infatti, è solo apparentemente in contraddizione con la prima lettura. In realtà, esso precisa che la speranza del credente non è una cantilena tranquillizzante su un futuro diverso, ma si traduce in impegno e responsabilità.
Per leggere e comprendere
Matteo presenta Giovanni non tanto come battezzatore (cf. Marco), ma come profeta, sottolineandone soprattutto l’appello alla conversione. Come ogni profeta, il Battista divide e provoca tensioni e, al pari dei profeti, presenta l’intervento di Dio nella storia come un passaggio che scava dentro l’uomo e dentro le vicende umane, mettendo a nudo le ipocrisie e chiedendo responsabilità.
Il suo messaggio accentua un tema molto caro al profetismo e alla teologia del primo Vangelo: la fede non è spiritualismo consolatorio, ingannevole sicurezza sulla base di un’appartenenza e di una religiosità professata solo con le labbra, ma è impegno sempre nuovo e reale, è “portare frutti di conversione”. Il cambiamento radicale di mentalità, richiesto dalla conversione, consiste nel passaggio da una fede solo esibita a una fede vissuta. L’insistenza sui frutti è una caratteristica dell’evangelista Matteo, che vede nell’ortoprassi il vero banco di prova dell’ortodossia: «Non chiunque mi dice “Signore! Signore!” entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio celeste» (Mt 7,21). Ed è proprio l’ortoprassi che qualifica la comunità cristiana in contrapposizione allo spirito dei farisei «che dicono e non fanno».
Sullo sfondo di questa polemica si intravede non solo una disputa di Matteo con la comunità farisaica, ma anche un ammonimento alla stessa comunità cristiana. Matteo è l’evangelista che parla esplicitamente dell’illusione di sentirsi perfetti credenti in Cristo solo sulla base dei miracoli, degli esorcismi e delle profezie… Illusione, appunto, perché la relazione con Cristo si misura su una prassi autentica (7,22-23). In effetti, Matteo è l’unico evangelista che contrappone i figli che dicono “sì” senza agire di conseguenza, a quelli riottosi che si fanno, però, carico della volontà del Padre (Mt 21,28-32).
Tanta insistenza sui “frutti” ha indotto a ritenere Matteo il paladino del volontarismo etico. In realtà non è così, e ciò appare chiaramente anche nel Vangelo odierno, dove la conversione viene presentata come una risposta a Dio che si è fatto vicino. Per l’evangelista, l’agire etico è la risposta al progetto di salvezza di un Padre, la cui volontà è sempre e comunque salvifica. Anche il Battista sarà chiamato a una conversione, purificando la sua prospettiva messianica e riconoscendo in Gesù non solo e non tanto «colui che ha in mano il ventilabro per purificare la sua aia…» ma colui che manifesta la misericordia di Dio facendo «vedere i ciechi e camminare gli storpi; udire i sordomuti e risuscitare i morti» (Mt 11,5). Ed è proprio qui che il messaggio di Isaia sul germoglio s’intreccia con quello evangelico sulla conversione e sulla responsabilità. Non solo Dio, ma anche l’uomo è chiamato a far nascere germogli dai tronchi secchi e aurore nei cammini di tenebra e di morte. Siamo tutti chiamati a non uccidere la speranza di Dio.
Interrogativi per attualizzare
- Siamo una comunità ecclesiale matura che testimonia Dio con l’ortodossia e l’ortoprassi?
- Quali sono “i frutti” più urgenti che, come cristiani, possiamo produrre nel nostro ambiente?
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano