Commento al Vangelo per la II Domenica di Quaresima /A

Introduzione al tema del giorno

Le letture odierne proseguono la riflessione penitenziale iniziata la scorsa settimana, proponendo un tema caro alla letteratura biblica e quaresimale: la trasfigurazione del cammino di morte in cammino di vita. Si tratta di un motivo ricorrente, perché attraversa sia il Primo che il Nuovo Testamento. La dialettica morte-vita stimola il credente alla scoperta di un Volto sempre nuovo: quello di Dio, capace di trasfigurare il cammino, e quello dell’uomo chiamato all’ascolto e all’obbedienza.

Leggere e comprendere
Il racconto della trasfigurazione di Gesù sul monte inizia con un’espressione temporale (spesso tralasciata dai testi liturgici) che potrebbe sembrare superflua, ma in realtà racchiude un grande significato: «dopo sei giorni». È probabile che si faccia riferimento all’annuncio della passione, avvenuto sei giorni prima, ma è anche possibile che ci sia un’allusione implicita al settimo giorno, il giorno di Dio e, dunque, della pienezza di senso che irrompe nei sei giorni che sono propri dell’uomo. Nella comprensione antica, infatti, il numero è un simbolo che mette in luce la natura delle cose, esprimendone il significato e il numero sei simboleggia il tempo dell’uomo (nella Genesi l’uomo viene creato nel sesto giorno), mentre il numero sette simboleggia il tempo di Dio. La trasfigurazione, che avviene dopo sei giorni, sta a significare l’irrompere del mondo di Dio in quello dell’uomo: un’irruzione che illumina e feconda la quotidianità umana, segnata dalla sofferenza e dalla morte.
Un ulteriore segnale che la trasfigurazione va compresa in questa luce è l’insistenza di Matteo sul volto. Mentre Marco dice che sul monte Gesù «fu trasfigurato», Matteo, invece, specifica: «il suo volto risplendette come il sole». Il volto di Dio è il caso serio del credente, perché Dio – ma anche l’uomo – è anzitutto un Volto. Cosa sarebbe Dio (e cosa sarebbe l’uomo) senza un volto? «Cercate il mio volto» è il comando di JHWH nelle parole del Salmo 27 ed esso equivale a un altro ritornello della letteratura biblica: «cercate me, e vivrete!».

Nella trasfigurazione Gesù rivela il volto di Dio e il volto dell’uomo, il mistero di Dio e quello
dell’uomo. Rivela il volto di Dio – che «nessun uomo può vedere rimanendo in vita» (Es 33,20) – perché è il figlio prediletto nel quale Dio si compiace; colui che svela il significato profondo della storia della salvezza, della Torah e dei profeti, rappresentati sul monte dalle figure di Mosè ed Elia.
Ma rivela anche il volto dell’uomo, perché il figlio prediletto di Dio è anche il figlio dell’uomo
sofferente e rigettato che, dopo la trasfigurazione, rimane «solo» (v. 8).

In questo intreccio ricco e misterioso è il senso della trasfigurazione di Gesù. L’uomo va a Dio nella sua solitudine e il suo bisogno, con il volto segnato dal tempo e dal cammino di sofferenza; Dio trasfigura questo cammino di solitudine in cammino di vita. Al pari della via di Gesù, la strada dell’uomo, per quanto obbrobriosa possa essere, viene trasfigurata a immagine del Dio che ama la vita. Se Gesù, un giorno, ha voluto mostrare il volto di Dio, questo significa che l’uomo non è più solo e non cammina unicamente con il suo proprio volto. Nel cammino Dio si fa presente ed è per questo che il racconto si sofferma sulla nube e sulla voce. Certo, la nube è un segno ambiguo (rivela e nasconde) e la voce è un segno fragile (affidato all’accoglienza di chi ascolta), ma ambedue rivelano che Dio è presente in questa nostra travagliata storia. È presente, però, per colui che ascolta.

«Ascoltatelo» è il comando della voce. Sapremo ascoltarlo?

Interrogativi per attualizzare
1. Quali paure abbiamo o quali situazioni ci incutono timori di morte?
2. Come trasformare i nostri fallimenti e le nostre paure in eventi che danno la vita?

Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano