Nel nostro cammino quaresimale ci troviamo nella seconda domenica di quaresima in cui viene proclamato nella liturgia eucaristica il vangelo della trasfigurazione di Gesù. Questo episodio è strettamente legato alla grande professione di fede di Pietro a Cesarea di Filippo e al primo annuncio della passione di Gesù con la presentazione della croce come compagna di viaggio per chi vuole seguire il messia. Gesù descrive le condizioni per seguirlo ai discepoli e alle folle ma poi, con Pietro Giacomo e Giovanni, si ritira su un alto monte, loro soli. I riferimenti a Mosè sono chiari. Il monte è il luogo dell’incontro con Dio e Gesù sente questo bisogno, da solo, lontano dalla folla come diverse volte è capitato nel suo pellegrinare. Con il suo Padre, su quell’alto monte, Gesù si trasfigura, le sue vesti divennero bianche, in una visione apocalittica indice della gloria ultraterrena insieme ai santi, e il suo volto splendente, splendore che deriva dalla vicina presenza di Dio. Gesù dopo aver rivelato a Pietro che il figlio dell’uomo dovrà soffrire dimostra che la sua vera realtà è la gloria. Gesù viene glorificato dal Padre e questa intronizzazione avviene proprio davanti ai suoi discepoli, li rassicura e li rincuora. La via della croce non è fine a se stessa ma porta alla gloria. La legge e i profeti rappresentati da Mosè ed Elia discorrono con Lui in modo pacifico, ultraterreno. La visione estatica è all’apice. I discepoli si impauriscono, sebbene seguaci e amici di Gesù rimangono uomini. Pietro dimostra di non capire quando chiede di costruire tre capanne, così come avviene nella festa dei tabernacoli, vuole perpetuare questa visione paradisiaca sulla terra rinunciando così alla croce, elemento scomodo ma indispensabile. Pietro è fatto così, spesso impulsivo, ma Dio si serve di lui per confermare la sua predilezione per il suo figlio unigenito che bisogna ascoltare perché proprio la sua voce determina la salvezza. I discepoli spettatori di così tanta poesia sono coinvolti dalla nube dove siede Dio nella sua gloria. Dopo la manifestazione di Dio tutto torna normale, tutto svanisce, si ritorna alla vita ordinaria aspettando senza dir nulla i grandi eventi di Gerusalemme, dove il ministero di Gesù toccherà il culmine.
Questa pagina evangelica è il preludio necessario all’evento pasquale di morte e risurrezione di Gesù. I discepoli hanno sperimentato, seppur brevemente, come un sogno, la gloria di Dio e il suo abbraccio paterno immersi dalla nube.
Dopo l’invito a vegliare, che la liturgia ci ha offerto nel mercoledì delle ceneri, e alla conversione, domenica scorsa prima di quaresima, in questa domenica è bello soffermarsi sulla metamorfosi che procura l’incontro con Dio. L’esperienza dell’alto monte è una condizione fondamentale per comprendere la realtà che ci attende. L’incontro con Dio, l’unione intima con Lui ci trasforma, ci trasfigura sia il volto, rendendolo espressione di pace, che le vesti bianche splendenti del candore della santità. È impossibile seguire un cammino quaresimale di conversione se manca la preghiera, l’incontro con colui che attua la nostra metamorfosi. Questa nostra trasformazione avviene dopo la contemplazione del volto di Gesù, questa nuova possibilità di conoscere la bellezza del Cristo nella pienezza della sua vocazione di Messia, della sua identità di Figlio di Dio, della sua missione di Salvatore in mezzo agli uomini, si capisce solo e soprattutto quando uno entra in preghiera. Essa non è un aspetto secondario per la conoscenza autentica del Figlio di Dio. Ed anche le altre scienze, come la teologia per esempio, come la storia delle religioni o altre realtà, altri linguaggi o anche la nostra stessa emotività, non sono sufficienti a farci raggiungere la pienezza di questa rivelazione, cioè la gloria già trasparente, già evidente e splendente sul volto umano del Cristo.
Accogliamo questo invito nel nostro impegno quaresimale, l’invito a trascorrere più tempo con Lui, ad ascoltarlo e a cogliere l’essenziale della nostra vita cristiana che non sono solo le tante opere buone che si producono qua e là ma il desiderio continuo e costante a vivere la santità.
Don Domenico Cauteruccio,
parroco di Cristo Re in Marcellina