Commento al Vangelo per la III Domenica del Tempo Ordinario /A

Introduzione al tema del giorno

Nei commenti alle letture del Natale si afferma spesso che Dio irrompe tra le macerie della storia umana, per dare un senso nuovo e una nuova dignità a chi non trova più la strada. La seconda lettura di questa domenica e soprattutto il Vangelo offrono di nuovo l’opportunità di riflettere su questo tema, partendo da altri punti di vista.

Per leggere e comprendere

Il Vangelo presenta la centralità di Gesù e il senso della vita che l’uomo trova alla sequela del Cristo. Nel racconto di vocazione delle due coppie di fratelli, è Gesù, il protagonista del racconto. Tutto avviene grazie al suo passaggio, tutto è messo in movimento dalla sua parola. L’ingresso nella cerchia di un Rabbi avveniva, di solito, per iniziativa del discepolo, che sceglieva il suo maestro. Qui, invece, è Gesù che chiama a condividere la sua vita. La sua chiamata, però, s’inquadra nell’ordinarietà degli eventi: nessuna voce roboante, nessun segno straordinario, nessun contesto di sacra misteriosità.

All’uomo ammaliato dal successo e abituato a pensare Dio in termini di onnipotenza, può persino dar fastidio tanta povertà di mezzi, tanto ordinario procedere del Mistero dentro gli spazi angusti dell’uomo. Ma questo, nella Bibbia, è una costante: il luogo dell’epifania di Dio è la storia ordinaria, con le vicissitudini e le pesantezze del quotidiano. Il regno di Dio non arriva nel sensazionale, in modo da attirare gli sguardi e in modo che si possa dire con certezza «è qui, è lì»: agisce, invece, nella trama del quotidiano, nella fatica giornaliera della scoperta di senso.

Gesù chiama a un rapporto personale: «Venite dietro a me!» Ai chiamati non viene presentato, anzitutto, un programma da eseguire, una legge da osservare, una catechesi da impartire. Si tratta di stabilire un rapporto personale, uno stare con lui, condividendone le gioie e i problemi, i successi e il fallimento. Sappiamo quanta fatica è costata a Gesù l’educazione dei suoi discepoli. Cercheranno sempre dell’altro, mentre la sequela significa anzitutto stare insieme, condividere la vita. Diventeranno sì pescatori di uomini, ma solo dopo aver imparato dal Maestro che questo significa amare l’uomo, fino a scendere con lui negli abissi del peccato e della morte.

Il racconto continua notando che, di fronte alla chiamata di Gesù, i discepoli, abbandonata ogni cosa, «all’istante, lo seguirono». Meraviglia questa adesione incondizionata e totale alla parola di Gesù, perché, nel corso del Vangelo, l’evangelista non nasconderà la debolezza dei seguaci, definiti spesso oligopistoi, un termine greco – tipico di Matteo – che mette in evidenza la fragilità della loro fede, il venir meno nei momenti di crisi  Lo stesso Pietro che, dopo un momento di generosa adesione, aveva dubitato di Gesù e del suo potere di salvarlo dalle acque, si sentì rivolgere il rimprovero: «Perché hai dubitato, uomo di poca fede?» (14,31). Nonostante il fervore iniziale, dettato dalle illusioni giovanili, la loro sequela rimane sostanzialmente ancorata all’attesa umana di un messia vittorioso. Poco a poco, invece, dovranno imparare che seguirlo vorrà dire accompagnarlo sulla strada che lui vorrà percorrere. Dovranno apprendere a seguirlo sul suo cammino, succeda quel che succeda. Dovranno imparare a sentire la sua vicinanza anche quando sarà messo a morte, proseguendo loro stessi il viaggio iniziato. Il cammino della sequela, insomma, non è mai scontato.

Interrogativi per attualizzare

  1. Proviamo a interrogarci sulla nostra sequela: cosa significa per le nostre comunità seguire il cammino di Cristo? A che cosa siamo chiamati, concretamente?
  1. Come ci comportiamo nelle crisi? Cosa significano nella nostra vita personale e comunitaria? Fattore di crescita o di disfatta?

Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano