Commento al Vangelo per la III Domenica di Pasqua /B

La liturgia, oggi, ci aiuta a riflettere con delle letture bellissime. È uno dei brani più interessanti e belli quello dei Discepoli di Emmaus. Siamo in quello stesso giorno, è il giorno della resurrezione, il giorno in cui la comunità da sempre fa esperienza, incontra il Risorto. Questa cadenza e scadenza rimarrà inalterata nei secoli e nei millenni grazie al riunirsi della comunità che facendone memoria ne attualizza la Presenza. È l’oggi di Dio che entra nel nostro vivere quotidiano.

I due viandanti del Vangelo parlano, in un certo senso non possono e non riescono a dimenticare quanto hanno vissuto. Parlano di Cristo, cercano una spiegazione a quanto accaduto; ma alla fine è Gesù che li trova e si lascia trovare.

Il Viandante, che noi sappiamo essere il Risorto, li interroga: «che cosa sono questi discorsi che state facendo?» Egli Desidera che l’uomo parli a Lui con cuore sincero. Gesù chiede di raccontare a Lui stesso le nostre paure, le nostre angosce. È molto importante che noi ci raccontiamo a Lui. Ci rapportiamo. Il Signore poi guarisce le nostre angosce con la sua stessa Parola: non bisognava che accadessero tutte queste cose? Ovvero non bisognava che accadesse tutto quello che vi ha disorientato, che vi ha messo paura, che vi ha fatto disperdere? È il passaggio dalla croce alla gloria. Dalla morte alla vita. La Parola di Dio illumina il cammino di noi tutti e diventa la risposta che facciamo fatica spesso a trovare da noi stessi.

Nel racconto dei discepoli di Emmaus abbiamo come una sintesi di tutto il mistero pasquale che abbiamo celebrato nella Settimana Santa. Vi è anche la sintesi del nostro percorso di vita che spesso ci infila in cunicoli dai quali non sappiamo venire fuori. Potremmo chiamarlo il “Bignami della Passione di Gesù”. “Il Bignami” per liberarsi dalla paura di aver perso il Maestro e di aver smarrito il senso della vita. Tra tutti gli spunti che potremmo trarre da questo racconto è importante ricordare che qui è il Signore stesso che si affianca ai suoi: a quelli che il Padre gli aveva già dato. Questo per noi dovrebbe sempre essere un monito a tenere alta la nostra attenzione nel saper riconoscere come, in quanti modi, attraverso chi e cosa il Signore ci raggiunge quotidianamente. Quante angosce, quante ansie ci impediscono talvolta di trovare la luce, di riprendere il giusto cammino della nostra vita. I discepoli di Emmaus sbrogliano la matassa quando il loro cuore, nonostante tutto, rimane aperto alla carità e all’accoglienza: resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al termine… Il loro fallimento, la loro tristezza non li chiude all’attenzione sull’altro. Solo così fanno ancora esperienza del Risorto. Avrebbero potuto lasciarlo andare. Avremmo potuto chiudere le nostre case, siamo nel lutto e non possiamo andare neanche a Messa. Tutto questo sarebbe stato di impedimento affinché loro e noi stessi si possa fare esperienza di Gesù. La carità porta a Cristo. La carità è Cristo. Questo ci ripete papa Francesco: siate misericordiosi come Egli stesso è misericordioso.

La prima cosa di cui abbiamo bisogno nelle nostre Comunità: ricordare Gesù, andare a fondo del suo messaggio e del suo operato, meditare sulla sua crocifissione… Se, a un certo momento, Gesù ci commuove, le sue parole ci arrivano dentro e il nostro cuore comincia ad ardere, è il segno che la nostra fede è ancora viva.

È necessaria l’esperienza della Cena eucaristica. Anche se non sanno ancora chi sia, i due viandanti sentono il bisogno di Gesù. La sua compagnia fa loro bene. Non vogliono che li lasci: «Resta con noi». Luca lo sottolinea con gioia: «Gesù entrò per rimanere con loro». Durante la cena i loro occhi si aprono…
Sono queste le due esperienze chiave: sentire che il nostro cuore arde nel ricordare il suo messaggio, il suo operato e tutta la sua vita; sentire che, celebrando l’Eucaristia, la sua persona ci nutre, ci rafforza e ci consola. Così nella Chiesa cresce la fede nel Risorto.

È vero, talvolta siamo troppo distratti e le nostre Liturgie troppo lontane dal nostro dolore e incapaci di raggiungere il nostro cuore. Spesso spezziamo la Parola ma non sappiamo se questa sia davvero nutrimento per noi. Restiamo troppo presi dalla nostra esperienza personale. Il brano di questa Terza domenica di Pasqua ci vorrebbe insegnare che è ancora nella Comunità che celebra la “sua domenica” che possiamo trovare e riprendere il cammino dopo lo smarrimento. Dobbiamo ancora e sempre investire nella Celebrazione domenicale. La liturgia è risposta alla nostra angoscia. C’è ancora una Domenica per noi per celebrare la Risurrezione del Signore con e nella speranza assoluta che alla fine del nostro tortuoso percorso ANDRÀ TUTTO BENE… SEMPRE!

Don Giuseppe Chiaramida,
parroco presso la Beata Maria Vergine Assunta in cielo, in Ciciliano, e presso San Pietro Apostolo in Sambuci