Commento al Vangelo per la III Domenica di Quaresima /B

In questa terza domenica di Quaresima la liturgia della Parola ci offre un racconto tratto dal quarto vangelo, riguardante la prima manifestazione di Gesù a Gerusalemme, all’inizio del suo ministero pubblico. “Si avvicinava la Pasqua dei giudei”, la festa che Israele celebra come memoriale dell’esodo dall’Egitto. Durante questa festa gli israeliti si recano in pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme; così fa Gesù con i suoi discepoli. Il tempio è il centro della città santa, segno della presenza di Dio, il luogo dell’incontro con Lui. Ma ogni luogo santo può diventare anche qualcos’altro: da casa del Padre di Gesù a luogo di mercato. Da luogo di culto a Dio diventa luogo di traffici “bancari”, mercato dove regna l’idolo del denaro. Ciò continua ad avvenire oggi anche in molti luoghi cristiani. Il mercato facilmente si installa dove accorre la gente, sempre lenta a credere, ma facilmente presa da “pratiche” religiose. Di fronte a tutto questo Gesù compie un’azione, un segno e dice una parola. L’azione di Gesù è una protesta, egli, come i profeti dell’antichità, denuncia il culto perverso e annuncia che la purificazione messianica è iniziata. Il gesto compiuto da Gesù è scandaloso per i sacerdoti e per gli uomini religiosi della città santa perché danneggia gli interessi di alcune persone. Gesù si scaglia contro chi trasforma il tempio in un mercato, contro colui che approfitta della “casa del Padre” per i propri interessi, che rende il luogo di preghiera per eccellenza, uno spazio in cui gestire i propri affari, arricchire le proprie tasche: ieri come oggi. Talvolta rischiamo di essere noi “mercanti della fede”, ogni volta che, sfruttando i valori che dovrebbero ispirare i nostri pensieri e le nostre azioni, approfittiamo delle situazioni e delle cose temporali. Ogni volta che vorremmo mercanteggiare con Dio la vita, la fede, la salvezza. Dare e avere, vendere e comprare sono modi che offendono l’amore. L’amore non si compra, non si mendica, non s’impone, non si finge. Non possiamo adoperare con Dio la legge del baratto dove tu dai qualcosa a Dio perché lui dia qualcosa a te. Il testo del Vangelo che la liturgia ci propone ci riguarda da vicino, perché in qualche maniera tutti noi un po’ siamo responsabili di questo mercato. Noi che mercanteggiamo con Dio! Quanto esempio dovremmo prendere dal Cristo! Quanto poco zelanti sono la nostra fede e il nostro modo di vivere il Vangelo! Il gesto di Gesù non è un atto di accusa contro l’istituzione templare. Gesù è letteralmente “divorato” dal suo amore per la casa del Padre, come dice il nostro vangelo, citando il Salmo 69,9: “Lo zelo per la tua casa mi divorerà”. Lo zelo per il Tempio distruggerà Gesù e lo porterà alla morte; sì, questa passione per Dio porterà Gesù alla condanna e alla morte! “Con quale autorità fai questo?”. I giudei chiedono conto a Gesù, ma Egli non risponde direttamente a questa domanda, lancia una sfida, che è in realtà una grande rivelazione della sua persona, della sua missione, del vero culto e perciò dell’assoluta sacralità del vero tempio e, infine, della grande dignità della persona umana: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gesù porta la riflessione, con i suoi uditori, su un piano diverso. Ma nessuno in quel momento comprende. Solo dopo la risurrezione i discepoli capiscono che “egli parlava del santuario del suo corpo”. Ormai, dunque, il luogo dell’incontro con Dio è il corpo di Gesù, il luogo del vero culto a Dio è Gesù. Il tempio di Dio è Lui crocifisso e risorto. La novità cristiana sul tempio è proprio qui: il corpo glorioso del Crocifisso diventa il luogo dell’appuntamento universale tra Dio e gli uomini. Il capovolgimento di Gesù è un Dio che non chiede più sacrifici, ma che sacrifica se stesso per noi. La dimora di Dio non è una costruzione di pietra, opera, pur grandiosa, delle mani dell’uomo, ma è nel suo popolo che Egli dimora, è nell’uomo, opera delle sue mani e sua immagine, che Egli abita e desidera dimorare, con le sue leggi, ma ancor più col suo amore. È questo il vero tempio di Dio, contro il quale la violenza umana può accanirsi con furia distruttiva, ma che il Figlio di Dio, venendo nella carne con la sua morte e risurrezione, ha ricostruito per sempre. Ormai c’è un nuovo tempio: è il tempio del corpo. Il corpo è apertura all’altro. E allora quando annunciamo la fede non annunciamo un tempio in cui ognuno è chiuso in se stesso, ma annunciamo un tempio di pietre vive, di corpi che si guardano, si conoscono, si parlano. Dobbiamo annunciare questa fede e dobbiamo denunciare ogni fede che si chiude in se stessa e diventa potere, perché questa non è la fede cristiana. Ecco perché Gesù caccia i mercanti dal tempio; perché caccia un’idea di fede che non ha niente a che fare con Dio. Chiediamo allora a Gesù il coraggio di cacciare anche noi tutte le idee che non hanno niente a che fare con Dio. Questo brano del Vangelo è un’iniezione di fiducia ed entusiasmo. Ancora una volta Gesù ci rassicura perché in ciascuno di noi vi è un “tempio” che nessuna violenza e sopruso è in grado di demolire, anche se in alcuni momenti ci sembra che tutto crolli, che la terra sotto i nostri piedi tremi. Il Signore è con noi sempre e custodisce il nostro cuore. L’esistenza umana di Gesù ci rivela il “nostro futuro”. Il Figlio di Dio diventa uomo per guidare noi alla libertà della vita con Dio, liberandoci da una “vita senza Dio” che ci lascerebbe nel peccato e nell’angoscia. L’amore infinito di Dio sconfigge il male, l’egoismo, la cupidigia e ci rende dimora del suo Spirito.

Nazzareno Tomassi,
membro del servizio di Apostolato biblico,
parrocchia di Gesù Redentore – Palestrina