Commento al Vangelo per la IV Domenica di Pasqua /A

Introduzione al tema del giorno
La liturgia odierna è dominata dall’immagine del pastore, con il quale s’intreccia quella della porta.
Si tratta di una simbologia semplice, ma feconda, anche nel tempo dei prati di cemento e delle porte blindate perché, in effetti, anche se il pastore e la porta dell’ovile appartengono a una cultura arcaica, tuttavia fanno parte di un retaggio antropologico non facilmente eludibile.

Per leggere e comprendere
Il pastore, immagine di Dio viene proposta anzitutto dal Salmo 23 (22), la cui semplicità e ricchezza simbolica sono state più volte celebrate nella poesia e nel canto. Il Salmo si concentra su due simboli, messi in rapporto con straordinaria libertà e ricchezza di suggestioni: il pastore e la mensa. Non è difficile riconoscere nella simbologia del Signore che guida il suo popolo verso la terra il tempo dell’esodo dall’Egitto. E tuttavia il simbolo non si esaurisce in questo riferimento storico, ma abbraccia tutti quegli esodi che coinvolgono la vita dei popoli e dei singoli: cammini di liberazione e di speranza, alla ricerca di una terra promessa dove poter trovare un po’ di pane e di pace. Il cammino è un archetipo fondamentale della vita umana, ma anche delle diverse esperienze di liberazione fisica, psichica e spirituale, che ogni uomo si trova a vivere in momenti diversi della sua esistenza. Il bisogno di una guida è particolarmente sentito in questi momenti di passaggio, ma, per essere un vero cammino di liberazione, è necessaria una guida sicura, che non cerchi il suo interesse, ma il bene del viandante, che sappia dirigere senza schiavizzare, illuminare e proteggere, senza opprimere. Il Salmo addita nel Signore questa sicurezza. Ci sono, però, anche pastori indegni.

Tornano in mente le appassionate pagine del profeta Ezechiele, il quale mette sulla bocca di Dio una denuncia e un proposito: «Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura… Ed ecco io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura… » (Ez 34). A differenza dei pastori mercenari, il pastore autentico chiama le pecore, ciascuna con il suo nome, secondo l’usanza dei beduini. Chiamare per nome significa conoscenza personale, intima… quella dei pastori veri.

La porta è il secondo grande simbolo di Gv 10, intrecciato con quello del pastore, perché la porta di cui si parla è la porta per la quale entrano ed escono le pecore. Il rapporto tra i due simboli può essere stato suggerito dall’usanza del pastore di dormire sulla soglia dell’ovile, fungendo così da pastore e da porta. In ogni caso, nel testo giovanneo, il simbolo della porta viene anzitutto riferito a quelli che sono ladri e briganti, i quali non entrano per la porta, come si dovrebbe, ma per un’altra parte, al fine di rubare, uccidere e distruggere. Le espressioni utilizzate nei confronti dei falsi pastori sono violente, soprattutto se raffrontate a quelle idilliache esaminata in precedenza. E tuttavia, se non vogliamo togliere forza profetica alla parola di Gesù e ridurre il cristianesimo a cantilene consolatorie per anime pie, dobbiamo riconoscere che queste immagini rappresentano anche un giudizio severo sulle ipocrisie di chi, pur avendo il titolo di pastore, in realtà pasce solo se stesso. In aperta opposizione a questi falsi pastori, Gesù pone se stesso e la sua parola di verità: «Io sono la porta. Chi entra attraverso di me sarà salvo; entrerà uscirà e troverà pascolo». Anche nel mondo arabo il termine bab si riferisce sia alla porta sia ai grandi capi religiosi, che hanno il compito di introdurre il popolo nella conoscenza e nella comunione con Dio. Gesù si presenta, dunque, come la porta d’ingresso al mistero, l’accesso al tempio e alla comunione con Dio.

Interrogativi per attualizzare

  1. Conosciamo le persone che ci sono state affidate con il loro nome? Ne siamo responsabili?
  2. Quali sono le porte che apriamo e chiudiamo? E, a chi?

Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano