Commento al Vangelo per la IV Domenica di Pasqua /B

Celebriamo oggi la quarta domenica di Pasqua, detta anche del Buon Pastore.
Un evento particolare di questa domenica è la celebrazione della 58ª giornata mondiale di preghiera per le vocazioni.
Le letture di oggi ci invitano a meditare su tre aspetti che confermano la messianicità di Gesù, egli è il salvatore, il rivelatore del Padre e il buon pastore.

Attraverso Pietro gli Atti degli apostoli (4, 8-12) ci mostrano l’importanza dello Spirito Santo nella vita cristiana. Ci portano all’umiltà di riconoscere che non siamo noi autori delle opere ma Dio stesso. Lo Spirito Santo dà il coraggio di annunciare senza paura il Vangelo. Perciò dobbiamo sempre invocarlo. Davanti al sinedrio, Pietro dichiara il primato assoluto del Cristo per la salvezza: in nessun altro c’è la salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (v.12). Pietro sa che si trova davanti a uomini che conoscono bene le scritture. Allora cita il salmo 117/118, v. 22, che applica a Gesù. Gesù è la pietra angolare su cui si stabilisce l’intero edificio della storia e dell’umanità redenta. Questa lettura ci mostra che il nome di Gesù è in sé una potenza che ogni cristiano deve usare per regolare i problemi che incontra nella sua vita ma anche nella vita degli altri. È un’arma potente che può dare soluzione ai problemi dell’umanità. Ma perché il nome di Gesù agisca potentemente bisogna che disponiamo i nostri cuori con una fede coerente. E Gesù ci ha rivelato che la conoscenza del Padre è un elemento essenziale per la crescita della nostra vita cristiana o della nostra fede. La seconda lettura, dalla prima lettera di san Giovanni apostolo, usa la parola conoscenza, o il verbo conoscere, come espressione di una relazione profonda e totale, in due sensi. Nel senso negativo, significa la frattura insanabile tra il mondo e Dio. Ma per un cristiano, nel senso positivo, la conoscenza di Dio mediante l’amore crea una filiazione. Però questa filiazione si fa in modo progressivo e in due fasi: una filiazione presente o temporale (in terra) e un’altra piena e definitiva in cui “saremo simili a lui perché lo vedremo cosi come egli è” (nel paradiso). Ma il centro di tutto questo Gesù stesso lo ha rivelato, è  l’amore di Dio e del prossimo. La filiazione definitiva, dunque futura, o la comunione con Dio dipenderà da come abbiamo vissuto quella presente. Tutte e due sono inseparabili, perché non possiamo giungere alla filiazione definitiva senza compiere prima quella presente. Nel Vangelo di Giovanni, 10, 11-18, Gesù spiega meglio il senso di conoscere Dio. Questo Vangelo ci parla della figura del pastore. Benché intitolato Vangelo del buon pastore, Giovanni lo presenta per opposizione ad un pastore mercenario, per invitarci ad un riaggiustamento del nostro modo di gestire il suo gregge, che simbolizza tutte le strutture al servizio dell’uomo: la Chiesa, la famiglia, la società, il posto di lavoro… in cui i responsabili sono invitati a diventare buoni pastori, cioè a combattere per gli interessi degli uomini, non per fini egoistici o personali. Il pastore mercenario che nel pericolo abbandona le pecore e fugge, vuole chiarire per contrasto l’immagine e la missione del vero pastore e la relazione intima di comunione che lo lega ai suoi fedeli. Il verbo conoscere nelle scritture, come dice la seconda lettura, è un’espressione viva del dialogo d’amore. Gesù ha amato i suoi nel mondo e li ha amati fino alla morte; ha accettato di morire per la loro salvezza. Tale è il gesto essenziale che conferma che lui è il vero buon pastore per il suo gregge. La donazione di Gesù è gratuita, volontaria e illuminata dalla gloria della resurrezione. Perciò, a tutti coloro che credono in lui è stato dato di diventare figli, ma anche eseguire e continuare la missione perché l’umanità intera conosca Gesù e sia salvata. Abbiamo ricevuto la missione di diffondere la salvezza nel mondo, dobbiamo compierla.

Oggi, tutti siamo stupiti e esclamiamo che non ci sono più vocazioni alla vita religiosa e sacerdotale; le chiese si vuotano ogni anno; al catechismo partecipano pochi bambini. Questo deve suscitare una grande riflessione sulla nostra implicazione pastorale: siamo dei buoni pastori o dei pastori mercenari?

Igor Jean Florent Ntandou, osst