Commento al Vangelo per la IV Domenica di Quaresima /B

Il Vangelo che viene proclamato in questa IV Domenica di Quaresima, domenica Laetare, inonda di gioia e di luce i nostri cuori nel cammino verso la Pasqua. Questa gioia e questa luce derivano dalla Parola che Gesù rivolge a Nicodemo e a ciascuno di noi:  «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). E, se questa proclamazione dell’amore di Dio non fosse ancora sufficientemente chiara e gioiosa, l’Evangelista si premura di aggiungere la sottolineatura con cui Gesù dichiara l’assenza di ogni giudizio in questa incondizionata offerta d’amore, incarnata nella sua stessa persona e nella sua missione:  «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (3,17).

Queste affermazioni, d’altra parte, sono anticipate dalla esplicitazione di come il Figlio realizzerà la salvezza; e, il richiamo al serpente innalzato da Mosè nel deserto, è un chiaro riferimento al Suo innalzamento sulla Croce. Al popolo, morso dai serpenti, Mosè mostrò, elevato come stendardo, un serpente di bronzo e chi volgeva lo sguardo verso di esso veniva guarito dal veleno mortale. Il Crocifisso è paragonato al serpente di bronzo innalzato: in Lui vediamo il male che il serpente ci ha procurato, ma anche il bene che Dio ci vuole. Contemplando il Crocifisso, siamo anche noi guariti dal veleno della menzogna che il serpente ci ha inoculato, presentandoci un Dio geloso ed antagonista della nostra libertà. In Lui conosciamo la verità di Dio e nostra: Egli è il Padre che ci ama e noi i figli amati fino al sacrificio del Figlio unigenito. Volgendo lo sguardo a Colui che abbiamo trafitto (cfr Gv 19,37), ai piedi della croce, scopriamo, dunque, questa verità che ci riempie di gioia e rinasciamo come veri figli di Dio per la vita eterna.

La salvezza che Gesù propone è rivolta a chiunque crede in Lui. È necessaria, pertanto, la decisione della fede. Infatti, anche l’accoglienza dell’amore rimane sempre un atto di libertà. Ma non accogliere il Figlio, la Parola diventata carne per noi, significa preferire le tenebre alla luce, la morte alla vita. Il giudizio sull’uomo, quindi, lo fa l’uomo stesso, non Dio.

L’odio della luce, frutto di paura, è causato dal male che facciamo, che vuole restare nascosto per non essere denunciato, come la menzogna per non essere riconosciuta falsa. Chi fa il male e odia la luce non è un uomo libero, ma schiavo della menzogna e delle proprie cattive passioni.

Fare la verità è il contrario di fare il male o le opere cattive. Ma, per fare la verità, bisogna prima conoscerla, lasciando che la luce rischiari il nostro sguardo. Per questo «bisogna» che il Figlio dell’uomo sia innalzato: in Lui vediamo l’amore con cui siamo amati e la Luce viene ad illuminarci e a renderci finalmente liberi di credere e di amare così come siamo amati.

Padre Carlo Rossi, omv,
Vicario episcopale per la Vita consacrata,
rettore del santuario N.S. di Fatima in San Vittorino