Come i Vangeli ascoltati in questo tempo di Pasqua anche il brano di Giovanni che la liturgia ci propone oggi è denso di insegnamenti e brilla illuminato dal bagliore della Risurrezione.
Gesù sta parlando ai suoi discepoli nell’ambito dell’ultima cena, in quelli che vengono definiti “discorsi dell’addio”, essi però non comprendono ancora appieno il loro Maestro e la sua missione.
In questi versetti il Signore fa un discorso molto semplice, paragonando se stesso alla vite, i suoi amici ai tralci, il Padre all’agricoltore che cura e custodisce la vigna.
E proprio il Padre ci vuole uniti, innestati nella vite vera, il Figlio, e simili a lui. Chi non porta frutto in questa pianta viene tagliato, proprio come fa il viticultore con i tralci che non generano grappoli, e invece pota con cura i tralci che danno frutto perché siano sempre più produttivi.
Il Padre si prende cura di noi, pota le nostre mancanze per renderci più simili al Figlio Suo.
Gesù ci esorta a rimanere in Lui, ad ascoltare e vivere nelle sue parole, a lasciarci abitare dal suo amore, l’unico che non delude e si moltiplica infinitamente, trasformando anche noi quando ci scopriamo amati.
Oltre alla comunione profonda con Gesù, e questo brano ha un forte significato eucaristico, oltre alla comunione con i fratelli, alla sua parola, un altro elemento, la preghiera: «se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi ciò che chiedete vi sarà fatto». L’amore di Gesù compie miracoli, piccoli e grandi, nelle nostre esistenze, purché lo facciamo entrare e rimaniamo ancorati e saldi in esso, amplificandolo.
Ecco infine, portare frutti d’amore e diventare discepoli del Signore, è questa la missione che Gesù sta lasciando ai suoi, a noi e alla Chiesa tutta, perché il Padre sia glorificato.
Maria Teresa Ciprari,
direttore del Museo diocesano prenestino di arte sacra, Palestrina