Commento al Vangelo per la VI Domenica di Pasqua /A

Introduzione al tema del giorno
Questa sesta domenica di pasqua chiama in causa lo Spirito, il creatore, il testimone, l’avvocato, il compagno di viaggio… La lettura degli Atti testimonia la sua presenza nei passaggi cruciali della storia della chiesa, mentre il passo evangelico ne evoca la funzione di consolatore nel cammino dei discepoli. In ogni caso, dove è lo Spirito, lì è il soffio della vita.

Per leggere e comprendere
Il tema dello Spirito è centrale nella lettura tratta dal Vangelo di Giovanni, dove viene presentato il primo dei cinque detti sul Paraclito, che si trovano nel discorso d’addio di Gesù, rivolto ai discepoli prima della sua partenza definitiva.

Nel commento alle letture della scorsa domenica dicevo che il momento della morte non è paragonabile ad altre situazioni di distacco, perché è, allo stesso tempo, il più buio e il più epifanico.

È il momento dei ricordi e delle consegne, della tristezza suprema e della suprema verità. Un volto scompare, e si rimane senza. Nel descrivere questa situazione di limite, il Vangelo evoca la figura dell’orfano: senza padre e senza radici, senza stabilità e sicurezza. In questo contesto risuona, appassionata, la promessa del Paraclito: «Io pregherò il Padre e vi darà un altro Paraclito, affinché resti con voi per sempre». Il termine greco para-kaleô – da cui deriva il sostantivo Paraclito – significa chiamare vicino, chiamare accanto. Il Paraclito è colui che, nel momento del bisogno, resta accanto come amico consolatore, avvocato difensore, potente intercessore. Gesù se ne va, si sottrae per sempre alla vista dei discepoli, ed essi rimangono orfani.

Quando si è divisi per lungo tempo dalla persona che si ama, è facile cadere nella tentazione di crearsi compensazioni a buon mercato. Per questo, la raccomandazione di Gesù è martellante: per ben tre volte – in maniera più o meno uguale – risuona, in pochi versetti, il ritornello: «se mi amate, osservate i miei comandamenti» (vv. 15.21.23). Amare e osservare i comandamenti sono due modi di esprimere l’appartenenza, perché adempiere i desideri delle persone che abbiamo amato è la sola maniera di conservare la comunione. Giovanni Crisostomo diceva: «Chi abbiamo amato e abbiamo perduto, non è più là dove era prima, ma ovunque là dove noi siamo». L’osservanza dei suoi comandamenti, condensati nel comandamento nuovo dell’amore, è la testimonianza verace del suo essere con noi e del nostro rimanere in lui. Compito difficile, però, se osserviamo con quanta insistenza, in questo ultimo discorso, Gesù raccomandi ai suoi di rimanere. In effetti, nella Bibbia, solo Dio è colui che rimane; la fede dell’uomo è fragile, instabile. La paura dell’assenza e dell’inganno, l’estraneità e l’ostilità del mondo rendono il credente preda della solitudine e della tentazione. Non a caso Gesù aveva iniziato il discorso con l’ammonizione a non lasciarsi turbare e a rimanere saldi: «Non sia turbato il vostro cuore; credete in Dio e credete in me» (14,1). La particolare costruzione greca mette ancora più in rilievo l’insistenza sulla perseveranza: «Proseguite ad avere fiducia nel Padre, avendo fiducia in me». È in questo contesto che il Paraclito gioca una delle sue funzioni essenziali: all’uomo, incapace di rimanere, lo Spirito assicura la sua presenza e il suo sostegno. Non sappiamo chi siamo; ci basta però sapere che siamo suoi.

Interrogativi per attualizzare

  1. Quali sono le nostre speranze deluse, i sogni che abbiamo riposto nel cassetto? Crediamo ancora nello Spirito di Dio che apre le strade e rende possibile la speranza?
  2. Rimanere ha ancora un senso in una società fluida come la nostra? A questo proposito, quale testimnianza siamo chiamati a dare come cristiani

Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano