Commento al Vangelo per la VI Domenica di Pasqua /B

Essere un discepolo è vivere nell’amore.

Dio non fa differenza tra le persone (At,10, 34-35). Lo Spirito abbatte le barriere. La Chiesa diventa così consapevole del carattere universale del messaggio di Cristo, qualcosa che fino ad allora era stato poco realizzato. Questo è ciò che Pietro ci fa capire nella prima lettura. Quando amiamo, non guardiamo la razza, la religione, la condizione sociale o la nazionalità. Guardiamo il cuore dell’altro e vediamo il volto di Dio Creatore, di Dio Amore. Questo è ciò che Paolo traduce quando dice che in Cristo non c’è più giudeo o gentile, uomo o donna, schiavo o uomo libero.

Nella seconda lettura, Giovanni riassume una rivoluzione nella concezione che gli uomini potrebbero avere di Dio. Ma questa rivoluzione manifestata in Gesù è anche uno sconvolgimento nelle relazioni umane. L’amore è ciò che è Dio stesso.

Questo è il tema dell’Amore che attraversa il Vangelo di oggi, dove Gesù ci dà un comandamento nuovo, unico, che riassume tutti i dieci comandamenti. Essere un discepolo di Cristo è amare.

Nei suoi discorsi d’addio, Gesù lascia ai discepoli una specie di testamento, un riassunto di tutto ciò che ha trasmesso loro in parole e opere. Lascia un’istruzione, un comandamento.

È importante notare che Gesù usa la parola comandamento e non più legge. Questo per farci capire che tutte le leggi sono ormai obsolete.

I comandamenti negativi del decalogo subiscono una sorta di trasformazione per assumere la forma del comandamento positivo e unico dell’amore.  Non si tratta più di un testo di legge esterno e impersonale.

Ma di un nuovo comandamento che è un atteggiamento che si sceglie, un atto di libertà. E i cristiani si riconoscono dall’amore che mostrano. I comportamenti secondo l’Amore sono in qualche modo un risultato, la parte esterna e visibile di una realtà che ci abita. Questa linfa che è in noi la presenza del Padre e del Figlio, cioè del rapporto di dono e di accoglienza che è alla base di tutto ciò che vive.

Sottolineando il termine “rimanere”, che ricorre più di una volta in questo brano del Vangelo, Gesù ci ricorda che dobbiamo fare la nostra casa nell’amore con cui siamo amati. Al di fuori di questo amore e di lui, non c’è nulla.

Il nostro amore, infatti, è sempre secondo perché è una risposta. È l’amore di Dio che viene prima. Così i discepoli rispondono a questo amore amando gli altri. Sono riconoscibili da questo amore. Questa è la caratteristica distintiva dei discepoli di Gesù che non si riconoscono principalmente dagli esercizi di pietà, dalla delicatezza della loro vita spirituale o dalla pratica delle virtù. Tutto ciò è utile per mantenere la sua fede iniziale. Ma l’amore per gli altri si basa sull’amore con Dio. È quindi utile mantenere il contatto con l’autore dell’Amore.

Ma come amare? Gesù ci chiede di amarci non in modo qualsiasi, ma come lui stesso ci ha amato. Siamo invitati a imitare Cristo, cioè a ritornare costantemente al Vangelo per illuminare la nostra vita e le nostre azioni. Non dobbiamo confondere questo amore con qualche sentimento caldo. Per questo Gesù precisa, perché questo amore consiste nel dare la propria vita per coloro che amiamo. Amare qualcuno come Cristo ci ama significa aiutarlo a liberarsi da noi, non offuscarlo per il bene della nostra felicità. Le falsificazioni dell’amore governano il mondo. Il falso amore è uguale al falso Dio. Il vero amore ci fa vivere, il falso amore ci fa morire.

Che questo invito ad amare risuoni in noi come il Padre ama Gesù e come Gesù stesso ci ha amati.

Henri Gode Mbaw Mbaw,
Santa Maria Assunta e Visitazione, Cave