Ad un lettore occasionale potrebbe suscitare non poche perplessità l’episodio narrato dall’evangelista Marco nell’odierna pagina del Vangelo.
Gesù, il Figlio di Dio, il Verbo di Dio fatto carne, si trova a sperimentare quanto avevano vissuto sulla propria pelle i profeti prima di lui. Essi, inviati a far memoria del patto di fedeltà all’Alleanza, incontrano la chiusura, il rifiuto e l’ostilità proprio di quel popolo eletto, destinatario delle promesse.
Così come avvenne al profeta Ezechiele (rif. “Prima Lettura”) dove è addirittura lo stesso Dio a preannunciare ed anticipare il fallimento della missione a lui affidata: “Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genia di ribelli -, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro” (Ez 2,5).
Eppure l’ex-falegname di Nazaret, rabbino dell’ultima ora, sarebbe dovuto partire avvantaggiato.
Al momento in cui si ritrova di sabato a parlare nella sinagoga, era ormai accompagnato dalla fama di quanto aveva operato fino ad allora: a Cafarnao aveva liberato un indemoniato presso la sinagoga, guarito un lebbroso, un paralitico calato dal tetto dell’abitazione e un uomo dalla mano paralizzata; in territorio pagano aveva liberato un Gerasèno posseduto ed infine risanato l’emorroissa e risuscitato la figlia di Giàiro.
Molti, ascoltando, rimanevano stupiti…
Sono gli stessi compaesani a rendergli testimonianza in merito all’autenticità del suo insegnamento e del suo operato: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?” (Mc 6,2).
Forse Gesù si aspettava anche dalla sua gente la stessa reazione che solitamente provocavano i suoi segni e le sue parole, con quell’interrogativo finale in sospeso: “Chi è costui…?”.
Invece nella sinagoga a Nazaret, al desiderio di interrogarsi e mettersi in cammino, prevale il pre-giudizio ed il pre-concetto che gli ascoltatori hanno su di lui: “Non è costui il falegname…?”
Era per loro motivo di scandalo
No, quell’uomo così povero, ordinario, così simile e prossimo al loro vissuto, non può pretendere di essere qualcosa di più di quello che già sanno di lui.
I segni, le guarigioni, così come quelle parole di sapienza non sortiscono l’effetto sperato, perché le loro convinzioni, gli schemi mentali e le aspettative sono così radicati da essere difficilmente messi in discussione.
È lo scandalo della “Parola fatta carne”, di un Dio che desidera raggiungere ed abbracciare l’uomo nella sua dimensione feriale che è fatta di quotidianità, di semplicità ed anche di fragilità.
Un passaggio faticoso da compiere anche per un “combattente” della fede come l’apostolo Paolo (rif. Seconda Lettura) che, accolta la parola rivolta a lui da Dio “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”, arriva ad esclamare “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo” (2Cor 12,9).
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria…
Amara constatazione da parte di Gesù che, sottolinea l’evangelista, “si meravigliava della loro incredulità” (Mc 6,6). Una chiusura che diventa ostacolo non solo all’accoglienza dell’annuncio della “buona notizia” ma anche impedimento alla manifestazione delle opere di Dio attraverso quei segni e quelle guarigioni che tanto avevano fatto parlare di lui.
Un “clamoroso fallimento!” avrebbero titolato i giornali ai nostri giorni.
Lo scandalo dell’incarnazione troverà pieno compimento nello scandalo più cocente della Croce, dove il rifiuto, la chiusura, l’ostinazione, il peccato dell’uomo, sarà inchiodato sul legno dell’ignominia e la vittoria sulla morte testimonierà che proprio nel punto più basso e scandaloso raggiunto dal Figlio amato, si è manifestata l’onnipotenza amante del Padre che lo ha glorificato per la nostra redenzione.
Inviati anche noi come profeti
Alla luce di questa Parola, come cristiani dovremmo chiederci se ancora continua a prevalere in noi la tendenza a misurare l’efficacia del nostro agire pastorale, dell’impegno a trasmettere l’annuncio della fede professata e vissuta, in base a risultati tangibili in termini di attenzione, consenso e adesione pronta ed immediata.
Ci fa paura la prospettiva del fallimento, del rifiuto e dell’indifferenza, soprattutto da parte di coloro che sentiamo più vicini, come familiari, amici e membri della propria comunità, che presumono di conoscerci, dando poco credito al nostro desiderio di vivere radicalmente il cammino di fede.
E se fossimo talvolta noi a trovarci dalla parte di coloro che rimangono increduli, giudicando e minimizzando i fratelli e le sorelle “lontani” che, pur prodigandosi attivamente per il bene comune, non rientrano negli standard di appartenenza e di religiosità che ci siamo costruiti nel tempo?
Invochiamo l’azione dello Spirito Santo perché ci custodisca come discepoli e profeti in continuo cammino di discernimento e conversione.
Fr. Giancarlo Sboarina ofm
Convento San Francesco – Bellegra (Rm)