Introduzione al tema del giorno
Ci sono pagine evangeliche che aprono orizzonti insperati, perché osano smentire la realtà, anche quando i pochi segni di speranza, di cui disponiamo, rischiano di scomparire. La sapienza dell’uomo, che si nutre di evidenze e di potere, fa fatica a credere che l’impossibile possa germogliare tra le maglie del quotidiano. Eppure la sapienza evangelica ci esorta a fissare lo sguardo su ciò che è invisibile. La fede vive piccola, come un seme, come un ramoscello. La sua vitalità non è direttamente proporzionata al numero o alla potenza dei mezzi investiti: apparentemente esigua, cresce grazie solo a una misteriosa Presenza e alla forza dello Spirito.
Per leggere e comprendere
Soltanto Luca, tra gli evangelisti, riporta il logion di consolazione «non temere piccolo gregge», rivolto a una comunità dove la fede segna evidentemente il passo. La qualifica di «piccolo» esprime sia l’insignificanza numerica, ben evidente del resto all’interno di un vasto impero popolato di innumerevoli religioni e culture, sia la povertà e la semplicità degli anawim, i “poveri di YHWH” che compongono la comunità cristiana: esseri umani che non dispongono di appoggi umani o mezzi grandiosi per farsi valere. I piccoli sono sempre indifesi e rischiano di perdersi nell’angoscia. I motivi possono essere molteplici, e Luca rinuncia a definire meglio le ragioni dell’incertezza al fine di permettere più facilmente l’identificazione dei lettori. Assicura però la presenza di Dio, utilizzando un termine prezioso della letteratura giudaica e cristiana: eudokia. Questo lemma mette in evidenza la benevolenza, la cura tenera e premurosa di Dio verso chi è debole ed escluso. Questo amore tenero si posa oggi su di loro: proprio su di loro che vivono nell’incertezza e nella povertà di numero e di mezzi. A loro appartiene il bene salvifico per eccellenza: il Regno. «Il regno di Dio – dirà Luca più tardi – è dentro di voi» (17,21). E questo significa che non va cercato in segni spettacolari, ma nella storia degli uomini e nel tempo in cui ogni essere umano è posto. Luca non permette ai suoi la nostalgia del passato e nemmeno la nostalgia del tempo in cui Gesù era visibile e concreto; ci sono nuovi modi di Presenza che bisogna scoprire, nuove strade per fare esperienza personale del Signore Gesù.
Luca non vuole neppure che i cristiani siano alienati in un futuro irraggiungibile. La parabola dei servi vigilanti è un’esortazione a vivere il cammino del presente, non dimenticando la mèta. La terra richiede la serietà del credente. Il cristiano, anche se segnato dalla piccolezza, non può stare ai margini: deve stare al centro della città, senza però perdere di vista la mèta. Nel cammino bisogna amare la terra e Dio insieme come «quei servi con le reni cinte e le lucerne accese, che aspettano il loro Signore, per aprirgli subito quando arriva e bussa». Dinanzi all’evento della parusia, imprevedibile ma certo perché appartiene al giorno dopo giorno, viene richiesta la vigilanza, che non è un atteggiamento passivo e neppure semplice attesa psicologica. Tanto meno è una sospensione che si traduce in fuga dal mondo. La vigilanza è sforzo costante, lotta contro la stanchezza e orientamento di vita. Vigilare significa credere che c’è ancora un futuro per il mondo e per l’uomo e adoperarsi perché ci sia. Luca è molto attento al cammino dei suoi lettori e li conduce impercettibilmente dalla vigilanza alla fedeltà. Il motivo della vigilanza è posto a servizio della fedeltà al presente. Attesa del futuro e fedeltà al presente: sono i due poli da tener sempre presenti. Solo così non si relega Dio nel passato né lo si confina in un lontano alienante futuro.
Interrogativi per attualizzare
- Oggi, cosa manca maggiormente alle nostre comunità: responsabilità del presente o attesa del futuro?
- Quali segni impercettibili della Presenza siamo chiamati a cogliere come cristiani?
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano