Introduzione al tema del giorno
Le tre letture di questa domenica potrebbero essere raccolte attorno a un tema affascinante e complesso, che mette insieme la potenza e il mistero, il fascino e la fatica della crescita. La terra irrigata dalla pioggia del profeta Isaia, le doglie del parto della lettera ai Romani e il seme gettato nell’oscurità della parabola evangelica sono immagini che se, da una parte, alludono al travaglio e al dolore che ogni nascita comporta, dall’altra richiamano la gioia e la fecondità della vita.
Per leggere e comprendere
La metafora della semina, nella parabola evangelica, va letta alla luce di quell’appello conclusivo che si trova al v. 9: «chi ha orecchi ascolti!». “Ascoltare” ha qui il significato forte, contenuto dal suo corrispettivo ebraico shama, che esprime l’ascolto nel senso di accoglienza e obbedienza. Ma cosa bisogna ascoltare? A quale progetto è necessario obbedire?
Bisogna evitare di far deviare il significato pregnante di questa parabola in un condensato di massime, come se il punto centrale fosse un insegnamento moralistico sui ricettori che ricevono o meno il seme della Parola e vengono, dunque, approvati o condannati per questo. Questa prospettiva è una derivazione possibile (lo farà la chiesa delle origini nella spiegazione che segue), ma non è la prospettiva originale. Il punto originario e profondo della parabola, il perno che deve sorreggerne la comprensione è nell’immagine del seminatore che semina con fiducia e passione, senza stancarsi né scoraggiarsi. Matteo non aggiunge neppure (come fa Luca, ad esempio) che il seminatore semina la sua semente, quasi a voler sottolineare puramente l’atto in sé, il compito che spetta a colui che sparge il seme. Una raccomandazione: a seminare nonostante la fatica, a seminare e aspettare, seminare e credere che il frutto verrà. Certo, inevitabilmente c’è del seme che va perduto perché cade in un terreno sassoso o fra le spine… ma il seminatore non demorde per questo. Egli sa che il futuro del seme sta fondamentalmente nelle mani di Dio; a lui spetta il compito di seminare perché sa che il Regno annunciato porterà frutto. Proprio quello che annunciava Isaia sulla parola uscita dalla bocca di Dio: «non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero, e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata». In questa visione positiva, che non è ottimismo ma fede nella potenza di Dio, sta il vero messaggio della parabola. L’ottimismo non è una virtù cristiana: si è ottimisti o pessimisti sulla base della storia vissuta o dell’educazione ricevuta. Il cristiano non è chiamato ad essere ottimista, ma ad avere Speranza, perché la Speranza cristiana si fonda sulla Promessa di Dio e non sulle congiunture umane più o meno favorevoli. In mezzo ai travagli della storia e alla modestia dei risultati, alberga la forza del Regno, che non ha la visibilità dei successi mondani, ma la sicurezza del Progetto di Dio che fruttifica il cento, il sessanta, il trenta.
«Chi ha orecchi, ascolti!». È un invito a non rinchiudersi su sé stessi, ma a leggere eventi e situazioni alla luce del Regno di Dio, che Gesù ha seminato nella storia. Un invito ad aprire gli occhi e ad avere uno sguardo attento e penetrante, che sappia discernere i germogli di vita nei crepacci di una storia tormentata e accidentata.
Interrogativi per attualizzare
- Quali sono gli stadi di maturazione delle nostre comunità e come li viviamo?
- Diamo più importanza alla fatica della semina oppure cerchiamo solo il traguardo e il successo della mietitura?
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano