Commento al Vangelo per la XV Domenica del Tempo Ordinario /B

La liturgia ci fa comprendere in profondità quanto sia potente la Parola e quali sono le qualità di chi è chiamato ad annunciarla: libertà, fedeltà, abbandono, radicalità, urgenza.

Ci mostra il modello di una comunità missionaria. Gesù fa partecipi gli apostoli della sua predicazione del Regno che comporta una certa urgenza e sobrietà, un impegno totale e una tensione continua. Egli dona loro il potere di compiere gli stessi prodigi che lui ha compiuto: predicare la conversione, guarire i malati, scacciare i demoni. Questa missione dei dodici è proprio una continuazione della missione di Gesù e la condivisione del suo stesso destino di incomprensione e di rifiuto sarà proprio il sigillo di questa chiamata.

Due segni evidenziano la differenza tra vera e falsa missione. Il primo, indicato da Marco, è il carattere comunitario: Gesù manda i suoi apostoli a due a due. È il germe della Chiesa. «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt  18,20). L’individualismo e il protagonismo non trovano alcuno spazio in una prospettiva autenticamente cristiana, neppure quando si ammantano delle più nobili ragioni e sembrano produrre i frutti migliori.

Il secondo segno è la povertà. I missionari devono contare solo sulla forza della Parola di conversione, capace di dominare anche gli spiriti impuri e di guarire gli infermi. Un annuncio sostenuto da fattori sociologici, economici, tecnologici troppo potenti rischia di oscurare il mistero e di sostituirlo con logiche troppo umane. Non è una esigenza “superata” dal cambiamento dei tempi.

Mi sembra utile fare riferimento a quanto afferma un grande Papa: “Non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada” (Lc10,4). Il predicatore deve avere tanta fiducia in Dio da essere sicuro che, pur non preoccupandosi della vita presente, nulla certamente gli verrà a mancare; e questo perché i suoi pensieri rivolgendosi alle cose materiali, non trascurino di provvedere agli altri le realtà eterne. (Dalle omelie sul vangelo di San Gregorio Magno, papa).

Ogni chiamata è per la missione. Il Messia ci associa alla sua opera e questo è un dono: riceviamo la grazia della missione, non siamo noi che la chiediamo. Prima di tutto c’è lo stare con Lui (cfr. Marco 3,13-19); solo successivamente scaturisce la missionarietà: “Quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e le nostre mani hanno toccato … noi testimoniamo … vi annunziamo la vita eterna, che era con il Padre e si è manifestata a noi … quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi” (1 Giovanni 1,1-3).

Gesù poi li manda “a due a due” perché la proclamazione del Regno non è un fatto personale e individualista ma ha una dimensione comunitariaIl numero due rappresenta l’importanza della relazione, il bisogno di ogni uomo di vivere la reciprocità, la comunione e testimoniare così in modo coerente la carità.

Quanta gioia c’è nel sapere che apparteniamo a Dio. Anche noi come i discepoli abbiamo ricevuto il potere di amare, di servire, di donare misericordia su ogni situazione, evento, su ogni fratello e testimoniare l’amore di Cristo che guarisce, serve, perdona, solleva, conforta.

Gesù non chiama a sé per trattenere, ma per inviarli in mezzo alla gente che potrà accoglierli oppure no. La vocazione è inscindibile dalla missione e deve sfociare in essa. L’esodo non è un optional, ma la necessaria irradiazione della vita spirituale. Sarebbe una significativa cartina di tornasole dell’autenticità della devozione di tanti “buoni cristiani”, che fedelmente vanno a messa ogni domenica, la loro tensione a comunicare la loro scoperta del Vangelo, con la visione della vita che esso comporta, in famiglia, in ufficio, a scuola…Se la missione non scaturisce da un’intimità col Signore si trasforma facilmente in un’impresa puramente umana. È stato ed è il destino di tante “opere missionarie” che colpiscono gli uomini per la loro grandiosità e la loro efficienza, ma da cui non emana il profumo delicato del Vangelo, che è quello dell’amore.

Il missionario deve essere pronto al rifiuto. Non è una prospettiva che deve scoraggiarlo. Come non scoraggiò i discepoli mandati da Gesù: «Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano».

Questo invio in missione da parte di Gesù non riguarda solo gli apostoli, ma costituisce un preciso appello per ogni battezzato. A tutti i cristiani.

Suor Graziella Maria Benghini, Suore oblate del Sacro Cuore,
responsabile Usmi Diocesi di Tivoli