Introduzione al tema del giorno
Negli anni del coinvolgimento attivo nella politica, nell’economia, nella ricerca di immagine e nei media, non è difficile avvertire voci che rilevano l’inefficacia della preghiera, la sua incapacità di fare storia. La Parola di questa domenica presenta l’esatto contrario: la preghiera come creatrice di eventi, l’orante come colui che innalza la sua invocazione in mezzo ai fratelli, si fa solidale con loro, prende parte alle loro tragedie e si rivolge al Padre, sapendo che Dio esiste e si rende responsabile. Dio ascolta il dolore degli oppressi (Esodo), il gemito delle vedove e degli orfani e il pianto dei prigionieri (Sal 78). Gesù, presentato spesso da Luca in preghiera, insegna ai suoi discepoli a rivolgersi al Padre, con insistenza, nella certezza che la preghiera cambia l’uomo e la storia dell’uomo.
Per leggere e comprendere
Il lungo passo sulla preghiera, presente nel vangelo di Luca, arriva al cuore della relazione con Dio, grazie all’insegnamento del “Padre nostro”. Luca ci presenta un testo più breve rispetto a quello di Matteo, ma il focus rimane sostanzialmente identico. Dio è chiamato “Padre” e, in questo modo, la relazione filiale diventa la chiave ermeneutica delle altre richieste: della conformità al disegno di Dio, della relazione con gli uomini e della trasformazione del mondo.
Le prime due domande del Pater riconoscono il primato del Regno e della sua Giustizia. Le richieste per la “santificazione del Nome” e per “l’avvento del Regno” non sono affatto un disimpegno nei confronti del mondo. Al contrario, coinvolgono l’uomo in una vita conforme al progetto di Dio, in comunione piena con la volontà salvifica di Dio nei confronti del mondo. E, tuttavia, testimoniano altresì la volontà umana di porsi in relazione con il progetto di Dio e di lasciarsi plasmare da questa relazione. Noi andiamo a Dio con le nostre richieste, i nostri bisogni…, ma la relazione col Padre ci cambia: a poco a poco impariamo ad assumere responsabilmente la nostra vita e la vita di Dio in questo mondo; impariamo una comunione di volontà, da realizzare fin d’ora sulla terra.
Le ultime tre domande sul pane, sul perdono e sulla tentazione sono da comprendere in questa stessa ottica. Chiedere il “pane di cui abbiamo bisogno quotidianamente”, il “perdono vicendevole” e la “vittoria nella prova definitiva” significa leggere la propria vita alla luce delle domande iniziali. L’uomo riconosce la sua condizione di creatura, bisognosa di provvidenza e condivisione. Pregare significa riconoscere la propria creaturalità. L’orante non afferma orgogliosamente i propri diritti, non avanza pretese di giustizia e non mira a baratti o commerci spirituali. Afferma invece la propria disponibilità a Dio e il proprio impegno alla comunione fraterna, che si esprime nella condivisione dei beni, nell’estensione universale del perdono che ci è stato concesso e nella vittoria sul regno di Satana.
In questo modo «la nostra vita diventa una celebrazione continua, animata dalla fede nell’onnipresenza divina che da ogni lato ci circonda: lavoriamo la terra e lodiamo Dio, navighiamo sul mare e lo cantiamo, e in ogni altra azione siamo guidati dalla medesima sapienza. L’uomo che prega frequenta Dio come un amico intimo, a cuore a cuore… Se non è troppo ardito affermarlo, si può definire la preghiera una conversazione con Dio. Anche se mormoriamo le parole sottovoce, anche se non apriamo neppure le labbra, un grido sale dal nostro cuore. E Dio sente sempre questo colloquio silenzioso» (Clemente Alessandrino).
Interrogativi per attualizzare
- Quanta e quale importanza ha la preghiera nella mia vita apostolica?
- Esiste una preghiera che responsabilizza e una preghiera che considera Dio un “tappabuchi”.
Quale ci appartiene?