Introduzione al tema del giorno
Nella prima lettura di questa domenica ritorna la celebre confessione di Geremia (cap. 20), che riporta la lacerazione del profeta di Dio in preda a una crisi profonda (cf. XII domenica T.O.). A questa lettura viene associato il primo annuncio della passione, che Gesù indirizza ai suoi discepoli, subito dopo la confessione di Pietro. Non è difficile intravedere un tema comune: la resistenza di Geremia da una parte, e di Pietro dall’altra, costituisce il paradosso di un’immaginne di Dio diversa da quelle a cui siamo abituati di solito. Convertirsi al vero Dio, allora, diventa essenziale.
Per leggere e comprendere
Il brano del Vangelo dà inizio a una nuova fase della storia di Gesù: una fase in cui diventa sempre più chiaro il destino del figlio dell’uomo umiliato e crocifisso. Gesù incomincia ora a mostrare ai discepoli la necessità di compiere il piano di Dio mediante il cammino della croce. Ricorre qui il verbo impersonale greco dei / è necessario, che non indica però una fatalità cieca o un destino assurdamente incomprensibile come nella Grecia antica, ma il Progetto di Dio che è, sempre e comunque, un progetto di salvezza. L’opposizione di Pietro mostra come la filosofia dell’uomo sia infinitamente lontana da quel Progetto. Nel pensiero del primo tra gli apostoli, l’impotenza di Dio viene identificata con la debolezza e la sconfitta: a suo parere Dio dovrebbe sempre imporsi, sbigottire e vincere. Di fronte a questo equivoco Gesù si rivolge al suo discepolo intimandogli: «Va’ dietro a me, Satana». “Satana”, in questo contesto, è l’avversario e Pietro si pone, di fatto, come l’avversario delle vie di Dio e come un inciampo (skandalon) sulla via che Gesù ha abbracciato. «Va’ dietro a me» evoca la prima chiamata, quando a Pietro e Andrea Gesù aveva ordinato: «(venite) dietro a me (opisô mou = dietro a me) e vi farò pescatori di uomini». Proprio Pietro, il perfetto ortodosso, che ha riconosciuto in Gesù il Messia e il Figlio del Dio vivente (Mt 16), è riportato alla condizione che gli è propria, quella del discepolo: dovrà imparare che i pensieri di Dio sono diversi dai pensieri umani, dovrà imparare che l’amore di Gesù (e l’amore cristiano) non passa per le vie trionfali del consenso e del successo, ma per il dono di sé, sui passi del Maestro. Così, anche il capostipite del popolo di Dio è posto sotto la grazia e il giudizio, sotto l’autorità del Cristo, al pari degli altri.
I detti che seguono sono rivolti a tutti i discepoli e richiamano la verità dell’esistere con parole altrettanto dure e decisive. Rinnegare se stessi, prendere la croce, perdere la propria vita sono di per sé scioccanti per l’uomo moderno. La psicologia non insiste sull’accettazione di se stessi come base di ogni autentica crescita umana e spirituale? Le vie della cautela e della diplomazia non sono, tante volte, le più efficaci per la salvezza dell’uomo? Non bisogna confondere i piani. Gesù non sta presentando un cammino di autostima sottotono né un insegnamento stoico di distacco da sé e dalle cose del mondo. Più in radice, Gesù offre due modelli di porsi di fronte all’esistenza: il primo consiste nella scelta di “vivere per sé”, l’altro consiste nella scelta di vivere per il Regno e per l’uomo. Fare di sé la mèta ultima da perseguire, cercando nel proprio “io” la ragione della propria esistenza (la cultura del selfie), porta l’uomo e il mondo alla rovina. Vale per gli individui, per le comunità e le nazioni. Fare invece della propria vita un dono conduce alla pienezza.
Interrogativi per attualizzare
- In quali eventi riconosciamo Dio nella nostra vita? O meglio: in “quale” Dio crediamo?
- Il Dio “onnipotente”, a cui ricorrere in casi di bisogno, è la vera immagine del Dio della Bibbia oppure è una costruzione della nostra piccola fede?
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano