Il brano tratto dal Vangelo di Marco, di questa XXIII Domenica del Tempo ordinario, ci narra l’incontro del Signore Gesù con un sordomuto, cioè con una persona che vive ai margini della comunità per il fatto che non può né sentire né parlare. Gesù si trova in terra pagana ma questo non gli impedisce di avere una attenzione verso quest’uomo, e ci mostra la compassione del Signore che si china su ogni tipo di sofferenza, invitando anche noi a fare altrettanto, verso i nostri fratelli meno fortunati , spesso oggetto di discriminazione e di derisione. Questo uomo sordomuto rappresenta anche chi non è necessariamente colpito da qualche problema fisico, ma semplicemente una persona chiusa in se stessa, isolata, che non ascolta e non parla con nessuno pur vivendo in mezzo agli altri. Quanti sordomuti ci sono in questo nostro tempo, in questa nostra società dal pensiero liquido; persone che anche quando stanno con gli altri, pensano solo al loro mondo, e quanti purtroppo, avendo chiuso la comunicazione con Dio, vivono solo per se stessi, incapaci di relazioni vere, e insensibili ai bisogni del prossimo.
Noi siamo nati per entrare in relazione con Dio e con gli altri. Ma quante situazioni ci isolano, ci ammutoliscono; ragazzi senza amici concreti ma con migliaia di amicizie virtuali più facili da ottenere, ma spesso false o semplicemente illusorie.
Ma non è sempre facile rendersene conto: questa è l’opera del separatore, di colui che ci divide, rendendoci incapaci di comunicare. Gesù viene a guarire questa nostra solitudine. Gesù a questo sordomuto non impone subito le mani, prima lo deve sottrarre alla folla; così è anche per noi. Per guarirci Gesù ci deve portare in disparte, fuori dai nostri ambienti: lo fa in tanti modi, a volte persino la sofferenza può essere strumento di redenzione; quante volte quel dolore inatteso è stata la strada del cambiamento, quel portarci fuori che Dio ha operato per indicarci la strada della salvezza, facendoci riflettere sul significato vero della nostra esistenza.
Ci dice il Vangelo che Gesù dopo aver sospirato, pronuncia in aramaico un ordine: effatà, cioè apriti! È un invito rivolto oggi ad ognuno di noi: non chiuderti in te stesso, apriti a Dio, alla sua Parola: lasciati amare, lasciati salvare e apriti ai bisogni degli altri! Il sordomuto guarito è il ritratto di chi si apre alla Parola di Dio, del credente che professa la sua fede, che rinuncia alla schiavitù peccato. Ecco perché la Chiesa fin dalle origini, ha inserito nel battesimo il rito dell’Effatà, intendendo dire: apriti all’ascolto della parola di Dio, alla fede, alla gioia, alla vita eterna, e alla sua lode.
Chi, per giustificare il non credere, pensa di non aver ricevuto il dono della fede dovrebbe chiedersi: ma io ho mai dato a Dio la possibilità di parlarmi? Trovo il tempo per meditare la sua Parola? Per riflettere, per leggere, per ascoltare i suoi ministri? O vivo in mezzo al rumore, bombardato dai media e dalle chiacchiere inutili. Per ascoltare Dio dobbiamo creare intorno a noi un’oasi di silenzio.
Anche Gesù chiede il silenzio su questo miracolo, perché non sia ridotto ad un’azione “magica”, perdendo il suo senso più profondo. L’incontro con il Signore, l’aprirsi all’ascolto del Vangelo salva l’uomo dalla chiusura in se stesso, rendendolo libero e capace di amare. Per questo dobbiamo proporre a tutti l’incontro con Gesù! Sì, se vogliamo portare bellezza e luce nel mondo, abbiamo bisogno che le parole di Cristo siano sulla nostra bocca, abbiamo bisogno del suo amore, della sua misericordia.
Giuseppe Volpini,
diacono permanente, parrocchia Nostra Signora di Lourdes in Albuccione di Guidonia