Commento al Vangelo per la XXIV Domenica del Tempo Ordinario /B

Percorrendo le strade nella Galilea accanto a Gesù, loro Maestro, i discepoli avevano vissuto momenti di esaltante popolarità per i tanti segni da Lui compiuti da attirare ogni giorno folle sempre più numerose, spinte dal desiderio di ascoltare la sua parola autorevole e sperimentare la sua azione sanante da ogni forma di malattia e sofferenza.

Ma giunge il momento decisivo anche per i discepoli, che avevano risposto senza indugio all’inatteso invito ad una sequela radicale resa possibile per l’azione silenziosa ma potente dello Spirito, di approfondire la misteriosa ed esaltante verità della persona di Gesù, scavando più in profondità la semplice intuizione di essere Lui l’atteso restauratore di quel regno di Dio in cui si sarebbero realizzati gli aneliti di giustizia pace e prosperità.

Sempre lungo la strada, il luogo dell’intimità, della spontaneità degli approcci e del sereno confidarsi, Gesù rivolge loro la domanda diretta sulla sua identità. Si attende una risposta personale sincera meditata ed esperienziale, ma riceve soltanto la consegna delle tante opinioni comuni circolanti sul suo conto, peraltro condivise pure da loro.

Soltanto Pietro, che per un istante si apre l’azione dello Spirito, riesce a proclamare solennemente: «Tu sei il Cristo il Salvatore». Una confessione di fede subito soffocata dalla sua umanità che prende con forza il sopravvento, inducendolo come tutti a considerare l’azione salvifica del messia atteso all’interno delle dinamiche di una sovranità temporale: realizzare il regno di Dio altro non può essere che la restaurazione politica di Israele, la definitiva liberazione dalla dominazione romana.

Continuando a percorrere quelle strade Gesù, con immensa delicatezza, non si tira indietro nel far comprendere come invece porterà a compimento questo progetto di obbedienza alla volontà del Padre. Lui è davvero il Cristo, perché con mansuetudine, senza alterare il tono di voce, saprà riconsegnarsi agli scribi e ai sacerdoti che lo condanneranno. Proprio come il servo obbediente descritto dai Isaia saprà mostrare senza resistere il dorso ai flagellatori, lo insulteranno e lo sputeranno spingendosi fino a caricarsi della Croce sulla quale verrà inchiodato e dove si abbandonerà ad una morte infame per conseguire, dopo, la gloria della risurrezione.

Questa via dolorosa e gloriosa allo stesso tempo seguita da Gesù è una strada che tutti noi, chiamati a diventare i suoi discepoli, dobbiamo liberamente percorrere, perché è l’unica che riesce a realizzare in pienezza la nostra vita. La salvezza consiste soltanto in una vita donata, spesa fino in fondo per gli altri, accettando il peso della Croce che il vivere per amore necessariamente ci procura, per le durezze, il male e le incomprensioni che risiedono nel cuore di ogni uomo, nostro compagno di viaggio, di cui dobbiamo portare vicendevolmente i pesi, con ferma speranza nella grazia del Signore, che saprà farci sperimentare la possibilità di poter amare senza limiti.

Come è stato per i discepoli anche a noi si impone la decisione se seguire Gesù per la strada angusta del perdere la propria vita per offrirla generosamente e totalmente al Padre, nella piena adesione al Vangelo e per l’edificazione dei fratelli, o deviare su quella larga e illusoria di fare dell’ ”io” la ragione e il senso ultimo dell’esistenza.

Se umilmente ci manteniamo fedeli alla sequela di Gesù, confidando nella sua grazia per ricalcare docilmente le sue orme avremo la possibilità di realizzare in pienezza l’elevatezza di quanto Lui ci propone sull’esempio di Pietro, che ha saputo accogliere e realizzare quel rimprovero perentorio che lo invitava a mettersi dietro al Maestro che aveva cercato in tutti i modi di contraddire.

Don Angelo Maria Consoli,
parroco in San Sisto e San Nicola, Bellegra