Introduzione al tema del giorno
Ci sono pagine bibliche che andrebbero contemplate più che commentate, perché ogni parola umana rischia di sgualcirle. La pagina dell’esodo sulla conversione di YHWH dalla giustizia alla misericordia e le tre parabole lucane del capitolo quindicesimo del vangelo – definito dagli studiosi come “il vangelo nel vangelo” – sono da considerare tra i capolavori della letteratura. Presentano un Dio sconvolgente e inafferrabile.
Per leggere e comprendere
A livello formale, tutto il capitolo 15 di Luca si presenta come una risposta di Gesù alle critiche degli scribi e dei farisei, che brontolavano sull’amicizia e sulla mensa con i pubblicani. Sullo sfondo, però, s’intravede, la preoccupazione sul comportamento della comunità lucana verso i peccatori e, soprattutto, la preoccupazione lucana sull’immagine di Dio che rischiava di imporsi tra i credenti. Questa situazione comunitaria (il Sitz im Leben lucano) ha condotto Luca a raccogliere il discorso parabolico intorno a due motivi, che scandiscono tutte e tre le parabole di questo capitolo: il tema del perduto/ritrovato e l’immagine del Dio che sta a monte del discorso.
Che Luca si preoccupi non tanto del membro della comunità che si smarrisce (così Matteo), ma del peccatore alienato e perduto, lo si comprende fin dall’inizio, quando – a differenza di Matteo che utilizza il verbo planaô / smarrirsi – Luca adopera il verbo apollymi / perdersi. In Luca si tratta, dunque, della pecora perduta e ritrovata, della dramma perduta e ritrovata e del figlio perduto e ritrovato. O meglio: si tratta della gioia per il ritrovamento di chi era considerato definitivamente lontano da Dio e dalla comunità.
Tutto questo provoca necessariamente un discorso ben più decisivo, che concerne la stessa immagine di Dio. Perché, è ovvio: ogni uomo e ogni epoca tendono a raffigurarsi un Dio a propria immagine e somiglianza. L’immagine di Dio, che Luca presenta nelle tre parabole, è inaspettata dal punto di vista religioso, perché Dio non viene raffigurato come “onnipotente” e “perfetto”, ma come il Padre dei rifiutati, il Dio che si mette alla ricerca dei perduti – anzi, di uno solo tra essi – finché non l’abbia trovato. La visione di Dio che appartiene al figlio maggiore, invece, (anche a noi?) è quella di un Dio che potremmo definire “simmetrico”, perché agisce secondo una logica strettamente proporzionale e retributiva. L’“homo religiosus” dà a ciascuno il suo, quello che merita: all’uomo fedele dà il premio della fedeltà, a quello infedele il castigo. Dio non è così, Dio non è quello che credi, dice Luca ai credenti! Lo ricordava già la prima lettura dell’Esodo: dopo l’idolatria del vitello d’oro, quando Mosè chiede a Dio di fargli conoscere il suo Volto, Dio risponde presentandosi con quelli che nella tradizione ebraica sono conosciuti come i 13 attributi divini: «YHWH, YHWH: Dio pietoso e misericordioso, lento all’ira e ricco di benevolenza e fedeltà…». In questo testo si comprende chiaramente l’“asimmetria” divina, che blocca la punizione alla terza e alla quarta generazione mentre espande la sua pazienza e la sua benevolenza fino alla millesima, e cioè senza confini. Il figlio maggiore della parabola lucana, il “giusto”, è chiamato ad entrare in questa logica e in questa comprensione di Dio. La parabola rimane aperta, perché il lettore, alla fine, non sa se il figlio maggiore sia entrato nella casa. Questa finale aperta interroga tutti: noi entreremo nella festa o rimarremo nella giustizia “simmetrica” che ha la sua logica, ma non apre spazi alla gratuità e alla novità di Dio?
Interrogativi per attualizzare
- La morale delle nostre comunità e dei singoli membri che le compongono è figlia dell’immagine di Dio che tutti noi abbiamo e annunciamo. Abbiamo riflettuto su quale sia la nostra?
- Noi, al posto del figlio maggiore, saremmo entrati a far festa per il fratello ritornato?
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano