Introduzione al tema del giorno
Ci sono parole bibliche che hanno forgiato la storia dell’umanità, o almeno dell’occidente cristiano, e quelle del Vangelo di oggi ne sono uno degli esempi più illustri. Il detto «date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» è stato ripreso e discusso in documenti papali e statali, nelle università e nelle piazze, da politici di razza e semplici cittadini… Ma si correrebbe il rischio di un grosso fraintendimento se non vi si scorgesse la dimensione profetica e teologica che riguarda le scelte di vita di ciascuno.
Per leggere e comprendere
La questione del censo da versare alle casse dello stato occupante di Roma era un problema che riguardava ogni singolo abitante della Palestina, dopo il censimento dell’anno 7 d.C. Il tributo veniva pagato con una moneta speciale che – al tempo di Gesù – portava l’effigie dell’imperatore Tiberio e la scritta: “Tiberio Cesare, augusto figlio del divino Augusto, pontefice massimo”. Non tutte le componenti della società ebraica ritenevano un dovere pagare questo tributo: c’era chi – come gli zeloti – incitava al rifiuto, perché investiva il pagamento di un vero e proprio significato religioso; chi invece – come gli erodiani – non ne faceva alcun problema; e chi ancora – come i farisei – accettava di pagarlo, riconoscendo tuttavia solo la signoria di Dio e sospirando la liberazione finale. La trappola insita nella questione posta derivava da queste diverse posizioni, che potevano comunque scatenare reazioni di vario genere.
La risposta di Gesù si pone su un altro livello, superando il semplice aspetto del lecito e del proibito: non avalla né una rassegnazione di fronte all’ordine costituito, né un rifiuto pregiudiziale. Gesù semplicemente innalza il livello della discussione a un ordine superiore, con un’aggiunta che – proprio in quanto non richiesta – porta il peso dell’argomentazione. La domanda dei farisei e degli erodiani verteva sul tributo da pagare a Cesare, ma l’aggiunta di Gesù «date a Dio quello che è di Dio» pone davanti agli interlocutori un altro piano: quello di Dio da amare «con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente» (Mt 22,37). All’autorità terrena (Cesare) l’uomo è in qualche modo obbligato a dare il suo tributo finché vive nel provvisorio e tutti gli esseri umani sono chiamati ad assumere le loro responsabilità specifiche nel contesto sociale e civile in cui si trovano a vivere. Ma non è qui che può esaurirsi il compito dell’uomo. Esiste una dimensione ben più fondamentale, che risponde alle domande ultime della vita: la relazione con Dio! Il mondo della polis – con le sue leggi, la sua cultura, le sue monete – appartiene alle cose penultime, che hanno certamente un valore finché l’uomo naviga in questo regno del precario, ma non hanno un valore “assoluto”. È chiaro che, con questa sottolineatura, Gesù non intende svalutare il mondo dell’umano, perché il credente non può abbandonarsi alle cose ultime senza prima aver preso sul serio le penultime (Bonhoeffer). L’evasione dalla storia non appartiene certo al messaggio cristiano. E tuttavia, quando il credente avrà costruito case e piantato alberi, quando avrà lottato per un mondo più giusto e più sano e avrà portato fino in fondo il compito a cui è stato chiamato in questo mondo… tornerà davanti al suo Signore crocifisso, sapendo che lì – e solo lì – risiede il senso definitivo del suo vivere e del suo morire.
Interrogativi per attualizzare
- Domandiamoci, ancora una volta, quale importanza diamo come credenti alle realtà
“penultime” e a quelle “ultime”. Con quale percezione gerarchica le viviamo? - Siamo cristiani “ai margini” che disprezzano il mondo, oppure cristiani troppo “assorbiti” nelle faccende umane da dimenticare Dio e il suo Regno?
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano