Il vangelo ci racconta che il Signore Gesù è andato incontro alla passione, ha imboccato con decisione il cammino della croce; Egli parlava apertamente ai suoi discepoli di ciò che doveva accadergli a Gerusalemme: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà”.
L’evangelista annota che i discepoli “non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo”. Era veramente difficile di capire le parole di Gesù. Anche noi, di fronte alla morte, non possiamo non provare i sentimenti e i pensieri dettati dalla nostra condizione umana. Proviamo anche noi sentimenti di paura e angoscia. E sempre ci sorprende e ci supera un Dio che si fa così vicino a noi da non fermarsi nemmeno davanti all’abisso della morte, che anzi lo attraversa, rimanendo per due giorni nel sepolcro. Ma proprio qui si attua il mistero del “terzo giorno”. Cristo assume fino in fondo la nostra carne mortale, prende la nostra umanità affinché essa sia investita dalla gloriosa potenza di Dio, dal vento dello Spirito vivificante, che la trasforma e la rigenera. È il battesimo della passione, cioè la morte in croce che Gesù ha ricevuto per noi, per la nostra salvezza.
L’abisso della morte viene riempito da un altro abisso, ancora più grande, che è quello dell’amore di Dio, della misericordia, così che la morte non ha più alcun potere su Gesù Cristo, né su coloro che, per la fede e il Battesimo, sono associati a Lui: “Se siamo morti con Cristo – dice san Paolo – crediamo che anche vivremo con lui”. In Gesù siamo salvati, siamo amati e redenti. In Gesù siamo figli dello stesso Padre.
L’intervento di Dio nel dramma della storia umana obbedisce solamente alla sua grazia e alla sua fedeltà, al suo amore per noi. La vita nuova ed eterna è frutto della sua morte in Croce. Un Amore che procede dal “cuore” stesso di Dio rinnova e orienta tutta la nostra vita ad essere partecipi di questo amore divino donato gratuitamente.
Il nostro battesimo ci ha inseriti nella morte del Signore, siamo parte della sua vita, ci ha resi conformi al suo sacrificio. Questa è la radice della nostra esistenza cristiana, la sua sorgente profonda: il frutto deve essere l’umiltà, l’esistenza che ne sgorga deve essere un’esistenza donata nel servizio, nell’amore del prossimo, la carità sincera e discreta, il dono incondizionato di sé stesso. È questo un punto centrale della vita cristiana. In essa, e dunque nella Chiesa, la logica delle “precedenze”, il criterio superficiale di voler essere “il primo” è completamente rovesciato: il primo è colui che si fa il servo di tutti, come Gesù, il cui primato è stato posto dalla sua obbedienza ed immolazione sulla croce. La vera dignità è nella possibilità offerta all’uomo di imitare l’umiltà, l’amore e la generosità di Gesù che ci ha amato fino alla morte.
Padre Fernando Lebrack,
ofm, parroco in Santa Maria di Loreto a Guidonia.