Commento al Vangelo per la XXVII Domenica del Tempo Ordinario /A

Introduzione al tema del giorno
Il “canto della vigna”, contenuto nel testo di Isaia, e la “parabola dei vignaioli omicidi”, presentata dal vangelo di Matteo, costituiscono la drammatica sequenza di questa domenica. Un messaggio intenso e pregno di tensione, che potrebbe essere riassunto nel motivo della “delusione di Dio”. Più volte la Bibbia sottolinea questo particolare aspetto, legato al tema dell’alleanza e ai vincoli che essa comporta. Un legame d’amore attende fedeltà, ma arriva menzogna; aspetta rettitudine, ma sopraggiungono ingiustizia e spargimento di sangue. Si tratta della frustrazione delle
attese di Dio e della sempre nuova speranza che, grazie a Lui, rinasce dalle ceneri di un progetto fallito.

Per leggere e comprendere
La parabola dei vignaioli omicidi è un grande affresco della storia della salvezza, dove la delusione di Dio diventa tragedia. L’invio ripetuto dei servi da parte del padrone della vigna è un evidente richiamo agli inviati di Dio, rigettati dal popolo. La loro uccisione è un leit motiv della letteratura biblica, tanto è vero che Neemia – ripercorrendo la storia dei padri, in una bella preghiera che si trova nel capitolo nono del suo libro – parlando degli antenati afferma: «…furono ritrosi e ribelli a te; si gettarono la tua legge dietro le spalle e uccisero i tuoi profeti che li ammonivano per ricondurli a te…» (Ne 9,26).

Sono soprattutto i profeti che, nella storia d’Israele, hanno conosciuto derisione, disprezzo e martirio. I profeti non vivevano di teorie su Dio, ma di pathos e di testimonianza. Di pathos, perché coinvolti dalla «passione» di Dio per l’uomo, e di «testimonianza», perché sorretti da un coraggio incrollabile che non confonde mai la riuscita con il successo o la popolarità con la fedeltà. Il loro legame con Dio non era il risultato di una osservanza religiosa sfarzosa quanto vuota, e neppure quello di un’adesione fatta di leggi e leggine che riducono la fede a un galateo di buone maniere. Per i profeti Dio era reale e travolgente. Non parlavano mai di Lui con distacco. I loro discorsi non erano concentrati sulla natura di Dio, ma sulla relazione con Lui, perché la verità di una vita dipende dalla verità delle relazioni che si stabiliscono. Matteo riprende questo filo conduttore del rifiuto dei profeti – che attraversa tutta la storia della salvezza (compresa la storia cristiana) – e afferma che raggiunge il suo apice nell’uccisione del Figlio, l’ultimo inviato.
Il peccato – allora come oggi – è quello di non riconoscere gli autentici inviati di Dio, chiusi come siamo dentro logiche di potere e di opportunismo che fanno di noi dei mercenari. Allora come oggi, si considerano nemici della società e dell’uomo coloro che svegliano le coscienze, annunciando il ritorno a Dio come fondamento di ogni umana convivenza. Perciò, conclude Gesù: «vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che produca frutti». La sentenza non va letta come se si trattasse qui della Chiesa che sostituisce Israele nella storia della Salvezza (è stato detto più volte). Il popolo di cui Gesù parla e che prenderà il posto delle istituzioni decrepite guidate dai sommi sacerdoti e dagli scribi, è il popolo dei piccoli e dei poveri, degli esclusi e dei lontani (Mt 21,14-17). Non è un popolo identificabile sociologicamente o istituzionalmente, perché si identifica con tutti quelli che danno frutti. Un popolo nel quale siamo tutti chiamati ad entrare.

Interrogativi per attualizzare

  1. Sia come individui sia come comunità, proviamo a ripercorrere la nostra storia cercando di leggerla alla luce di questa parabola di Gesù. Quale insegnamento se ne può trarre?
  2. Dare frutti cosa significa concretamente per me / per noi?

Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano