Introduzione al tema del giorno
La Parola di questa domenica prosegue nella trattazione del tema della precedente, invitandoci tutti a oltrepassare gli orizzonti ristretti in cui siamo soliti confinare i nostri progetti, per abbracciare le speranze dell’uomo. In effetti, la rivelazione biblica ha sempre coniugato insieme la scelta dell’uno con il bene dell’umanità intera. Il Dio che ha eletto Israele è il Signore della storia, la cui Volontà è di attuare il suo Progetto di amore per ogni uomo e per ogni popolo. Solo una distorta visuale della fede potrebbe confinare la Promessa di Dio entro le frontiere di un solo popolo o di una sola cultura. Assumere come parametro di riferimento il Regno di Dio significa spostare l’asse del sistema e abbracciare il mondo intero.
Per leggere e comprendere
La parabola degli invitati alle nozze va letta in questa ottica e percorre due direzioni: da una parte, conferma la visione espressa nella lettura di Isaia richiamando l’universalità della salvezza; dall’altra, mostra come il dono di Dio, che è all’origine di tutto questo, non opera meccanicamente, ma richiede a ciascuno la responsabilità delle proprie scelte. Queste due direzioni sono ben visibili nelle due parti che compongono la parabola: la prima parte, infatti, si conclude con la sala piena di tutti coloro che – dopo il rifiuto dei primi invitati – furono trovati nei crocicchi delle strade; la seconda si concentra invece sul giudizio che avviene subito dopo, quando un uomo viene trovato senza abito nuziale.
Universalità e responsabilità, dunque, nel contesto di una storia nuziale. Perché tutto quello che avviene ha a che fare con la gioia di una festa di nozze. Il banchetto costituisce un simbolo privilegiato delle relazioni umane e del compimento che attende ogni storia. La salvezza è anzitutto una festa nuziale a cui ogni essere umano è invitato. Questo aspetto rende ancora più sconcertante il rifiuto dei primi invitati, perché andarsene «chi al proprio campo, chi al suo commercio…» manifesta non solo un rifiuto sprezzante, ma anche una cecità riguardo al proprio destino, perché si rigetta la nuzialità come elemento che fonda ogni relazione umana. Il rifiuto si traduce in autoesclusione e autocondanna alla solitudine, al solipsismo e alla violenza, di cui l’uccisione è la tragica dimostrazione.
Lo smacco inflitto al progetto iniziale di Dio non significa però il suo fallimento, perché il rifiuto dei primi invitati apre la via alla chiamata degli ultimi, di quelli che vivono ai crocicchi delle strade, buoni e cattivi, chiamati alla festa solo grazie alla gratuità del Signore. Non è difficile riconoscere qui la situazione della Chiesa, chiamata dopo Israele: l’ekklesia dei gentili. Come Israele, anche la Chiesa è invitata al banchetto escatologico, ma come per Israele è decisiva la fedeltà. L’uomo trovato senza la veste nuziale e il monito sui chiamati e sugli eletti, costringe a spostare l’asse di lettura della parabola: il racconto slitta versò la responsabilità richiesta a ciascuno. Come Israele, anche la Chiesa è sotto il giudizio di Dio e questo avviene sulla base delle opere. I frutti del Regno sono per Matteo la «conditio sine qua non» per l’ingresso alle nozze e il vestito nuziale che l’uomo non indossa è il simbolo dell’irresponsabilità di chi è stato invitato. Risuona – costante e forte – l’ammonimento proclamato nel Discorso della Montagna: «Non chiunque mi dice “Signore, Signore” entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la Volontà del Padre mio celeste».
Interrogativi per attualizzare
- La Parola di queste ultime domeniche richiama fortemente la «responsabilità» come chiave di lettura della vita cristiana ed ecclesiale. Quali sono per noi i criteri di appartenenza?
- Quali sono le principali speranze umane che i cristiani sono chiamati oggi a condividere?
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano