Il tema della Domenica
La storia della salvezza è la storia di Dio alla ricerca dell’uomo. I nostri discorsi rischiano di diventare sterili, quando si concentrano solo sulle opere delle nostre mani, su ciò che l’uomo fa o è chiamato a fare per trovare Dio. La storia biblica testimonia che le cose non stanno così: fu Israele “ad essere scoperto da Dio”, e non viceversa. Questa attestazione di A. Heschel esprime a meraviglia il senso delle letture di questa quarta domenica di avvento e del Natale ormai alle porte. L’abitudine al commercio ci ha fatto dimenticare l’incapacità endemica dell’uomo a dare un senso al vivere e al morire. La bella notizia dell’avvento di Dio nella storia umana è proprio questa: sarà Dio stesso a costruire la casa.
Prima lettura: 2Sam 7,1-5.8-12.14.16
La storia di Davide fu quella di un uomo di successo, in continua ascesa, dopo l’elezione divina, che lo destinò ad essere re d’Israele. La vittoria su concorrenti e nemici, la conquista di Gerusalemme e l’iniziale organizzazione di uno stato forte e stabile dovettero infondere, in lui, una straordinaria consapevolezza dei propri mezzi e, negli altri, riverenza e timore.
Nei piani di Davide, l’iniziativa di voler costruire una «casa» al Dio nomade, che finora aveva dimorato in un’arca, peregrinando insieme al suo popolo, doveva avere motivazioni politiche e religiose. Il re, del resto, in ogni iniziativa, aveva dato prova di saper unire con scaltrezza religione e politica, sfruttando al meglio questo connubio per i suoi fini di governo. E tuttavia, a un livello più profondo, la vicenda del tempio, nella storia di Israele, dimostra che la costruzione di una «casa» per Dio obbedisce ad altri criteri e ad altre aspettative, spesso tenute nascoste. La costruzione di una casa per Dio ha a che fare spesso con il desiderio di una presenza divina a portata di mano: una tentazione subdola, che vuole garantirsi l’assistenza di un “Onnipotente” chiamato a proprio servizio nel momento del bisogno. L’uomo ha continuo bisogno di toccare ciò che rassicura, ha paura di quel che sfugge al suo controllo: vuole garantirsi l’assistenza dell’Onnipotente, riducendolo alla propria misura, costringendolo entro i propri parametri e limitandone, in qualche modo, la libertà di azione. Davide rappresenta questa tentazione, che si annida in ogni credente: rinchiudere Dio nei recinti delle istituzioni e del sacro, per poterne, in qualche modo, disporre. Vogliamo essere signori di tutto, e proprio questo non è possibile con Dio. E anche quando Dio si rassegna (per così dire), con il successore di Davide – Salomone – a lasciarsi costruire un tempio, rimane tuttavia sempre il Dio sommamente libero, che non può essere rinchiuso nelle opere delle mani dell’uomo, come attesta la bella preghiera che il sovrano stesso rivolge a Dio, nel giorno solenne della dedicazione del tempio: Ecco i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ti ho costruita (1Re 8,27). Il Salmo 135 rincara la dose: Dio, e Dio solo, compie, nei cieli e sulla terra, nei mari e in tutti gli abissi tutto ciò che vuole… fa salire le nubi, produce le folgori… libera i venti… diede la terra in eredità a Israele, in eredità a Israele suo popolo… Queste suggestive immagini manifestano la libertà di Dio, il mistero nascosto che lo pervade, i suoi pensieri inaccessibili all’uomo.
Il testo di Samuele, però, non si limita a negare alle possibilità umane di costruire a Dio una casa. Giocando con la parola ebraica bayit – che significa casa, ma anche casato, discendenza – il testo fa una seconda solenne affermazione: sarà Dio, proprio Lui, che darà a Davide un casato, una discendenza. All’uomo che cerca un Dio accomodante, da ridurre alla sua portata, Dio offre sicurezza e stabilità, ma sulla base della sua promessa e non su quella del desiderio dell’uomo. È interessante che, prima di parlare del futuro che Dio stesso si impegna a costruire, Dio richiami a Davide il suo passato: ti presi dai pascoli, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo di Israele mio popolo; sono stato con te dovunque sei andato… Il rischio mortale della fede è quello di dimenticare. Davide deve far memoria della presenza di Dio nella sua esistenza, sin dalla fanciullezza, perché ricordare, nella Bibbia, non significa solo richiamare alla memoria, ma intervenire. Il futuro di Davide – come quello di ogni credente – ha sempre le radici nel passato, e fare memoria del passato significa imparare a far sì che Dio non divenga un idolo.
Il Vangelo: Lc 1,26-38
Il passo dell’annunciazione, riproposto oggi, dopo la festa dell’Immacolata, ci permette di approfondire il mistero del vero tempio di Dio, un tempio non costruito da mano d’uomo. Il tempio costruito da Dio è quello promesso a Davide, di cui si faceva menzione nella prima lettura: quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere e renderò stabile il tuo regno… La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre.
Nell’umanità del Figlio di Maria, Dio si fa carico di questa promessa antica, rendendo stabile la casa di Davide, nonostante le viltà e gli scandali dei gestori. La stabilità del regno messianico, inaugurato con l’avvento di Gesù, riposa dunque sulla stabilità di Colui che è «da sempre e per sempre» (Sal 90): lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà. L’ho ripetuto più volte nel cammino dell’Avvento: l’uomo non può dare stabilità all’opera delle sue mani, perché solo Dio è Dio e la vita umana è segnata dai giorni che se ne vanno e dall’incompiutezza dell’opera dei progetti. In Maria, invece, l’opera dello Spirito crea stabilità. Il riferimento alla nube che, nel Primo Testamento, era uno dei simboli privilegiati della presenza di Dio in mezzo al suo popolo (per es. Es 40,35), sottolinea che l’incarnazione è in linea con la fedeltà di Dio, che assicura, ancora una volta, la sua presenza, nonostante una storia di miseria, incredulità e fallimento.
Maria è il modello di una fede solida e senza paure; l’attestazione di una fiducia totale che non teme di affrontare i fatti per aprirli e farli germogliare. Maria non mette in dubbio l’opera di Dio, non cerca di ridisegnare i progetti dell’Altissimo entro i confini della grettezza umana e non svilisce la sua Sapienza imprigionandola nei propri desideri. Maria domanda e offre sé stessa senza calcoli e senza menzogne, il suo «sì» rappresenta la sfida alle false sicurezze che ci avvolgono: accetta la morte per generare la vita. «La nostra anima non può amare finché è sedotta dalle proprie frammentarie effimere autosufficienze, dalle chiacchiere della ragionevolezza, dalla certezza della ricompensa offerta dalla legge. L’amore nasce quando, all’improvviso, appare chiara all’uomo la vanità del commercio… la vanità delle nostre azioni meritevoli di ricompensa, delle nostre virtù, del nostro buon nome, tesori ammassati che si mostrano impotenti a distruggere la morte. L’amore nasce quando, all’improvviso, risplende quale mia speranza colui che risuscita i morti. Occorre passare attraverso la morte per raggiungere l’amore» (Yannaras).
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano