Commento alla Parola nella Domenica delle Palme /B

Il tema della Domenica

Se guardiamo il mondo con uno sguardo attento e critico ci rendiamo subito conto di come, da una parte l’uomo contemporaneo vive proiettato verso la ricerca di successo, ricchezza e piacere (secondo i modelli proposti a ogni ora del giorno), dall’altra milioni di persone conducono un’esistenza scandita dal dramma e dall’ignominia, senza poter neppure soddisfare i bisogni più elementari. Il mondo moderno è nato all’insegna della fiducia nel progresso della ragione e nel più totale ottimismo sulle possibilità umane, ma l’epoca contemporanea ci ha mostrato anche vistose crepe, con fondati timori che il futuro radioso sarà sempre più bagnato da sofferenze, ingiustizie e calcoli egotisti, che soddisfano solo esigue e sfrontate minoranze. In questa situazione complessa e contradittoria celebriamo oggi il mistero della passione e della croce, che l’evangelista Marco rende ancora più paradossale, presentandoci un Gesù messia poco appariscente e poco appetibile, quasi a voler porci una domanda estremamente provocante: ma tu, in quale Dio credi?

Il Vangelo: Mc 14,1–15,47

Fin dalle battute iniziali del suo scritto, Marco presenta la figura di Gesù avvolta nel mistero: un uomo accreditato da Dio e autorevole nelle sue parole e nelle sue opere, ma avversato dai nemici, respinto dai concittadini e incompreso dagli stessi discepoli, a tal punto che la domanda sorge spontanea: ma quest’uomo è veramente il Messia di Dio? Al momento della passione, il mistero s’infittisce perché emerge un contrasto paradossale tra le affermazioni di Gesù sulla sua identità messianica e la sua situazione reale di uomo solo, rigettato e condannato. Un paradosso, perché gli uomini vanno a Dio chiedendo aiuto, pane, salvezza dalla malattia e dalla morte… e lo trovano povero, umiliato, senza tetto e senza pane, piegato dalla debolezza e dalla morte. Può l’uomo essere salvato dall’impotenza di Dio e non dalla sua potenza, dalla sua debolezza e non dalla sua forza? Domande senza risposta, per ora. Domande inquietanti, che mettono in crisi i sogni di onnipotenza che albergano nel cuore di ciascuno.

Ma non è ancora il paradosso supremo, perché il mistero più grande è al momento della crocifissione e della morte. Sarebbe tutto più chiaro e più semplice se Gesù scendesse dalla croce. Sarebbe finalmente la sua vittoria contro i propri accusatori, e il mistero sarebbe risolto. Ma Cristo non scende. «Tu non scendesti dalla croce quando ti si gridava, deridendoti e schernendoti: “Scendi dalla croce e crederemo che sei tu”. Tu non scendesti perché, una volta di più, non volevi asservire l’uomo con il miracolo e avevi sete di fede libera, non fondata sul prodigio. Avevi sete di un amore libero, e non dei servili entusiasmi dello schiavo davanti alla potenza che l’ha per sempre riempito di terrore…» (Dostoevskij). Per ora tutto rimane avvolto nell’enigma, e il grido di Gesù sulla croce «Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato?» sembra dar ragione ai suoi accusatori: abbandonato dai discepoli e dagli uomini, solo con sé stesso, neppure Dio risponde al suo grido. Muore e sembra che tutto sia finito. In realtà – ed ecco l’ultimo rovesciamento – tutto è compiuto, perché un centurione «vedendolo spirare in quel modo disse: quest’uomo era veramente figlio di Dio». Una professione di fede inattesa, al momento decisivo.

Ecco, dunque, la risposta che illumina il mistero di Gesù, ma anche quello di ogni credente. Se un centurione pagano riconosce Gesù messia al momento del fallimento supremo, questo significa che Dio era invisibile, ma presente nella morte di un condannato: nella sofferenza e nella morte di Gesù messia, ma anche nella sofferenza e nella morte di ogni essere umano. Presente con la forza dell’amore. Perché «… quando l’amore di Dio non si limita semplicemente ad essere là dove l’uomo è nel peccato e nella miseria, ma quando assume su di sé anche il destino che sovrasta ogni vita, la morte; cioè quando Gesù – che è l’amore di Dio – muore realmente, allora l’uomo può essere certo che l’amore di Dio lo accompagna anche nella morte… Dio ama gli uomini fino al punto di assumere su di sé la morte con loro e per loro… La morte non può resistere all’amore… L’amore è più forte della morte” (Cant 8,6)» (Bonhoeffer). Certo, dopo la morte di Gesù, il dolore rimane dolore, e la morte rimane tale, ma se Gesù è morto, nessuna sofferenza è derelitta e anche il morire nasconde un senso. Dal momento in cui Gesù è morto, ed è morto in quel modo, «nell’inferno non c’è speranza, ma l’inferno è nella speranza» perché «l’inferno appartiene a Cristo. In lui e attraverso di lui, anche l’inferno è trascinato per sempre nel “mistero di salvezza”» (Lochet).

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano