Il tema della Festa
Nella prima domenica di avvento, la Parola ci introduceva nel nuovo inizio dell’anno liturgico, della vita che germoglia tra le macerie della storia, della liberazione. Oggi la stessa Parola ci offre una donna come testimone vivente di questa speranza, perché Maria è la novità di Dio, il futuro di grazia in un mondo alla ricerca di senso. La crisi di senso è diventata forse la caratteristica peculiare del nostro tempo. Una crisi, che conduce a un’inquietudine profonda. Cresce la paura e viene meno la fiducia, in tutte le sue forme; viene meno il gusto per la verità e per la vita. Siamo travagliati dall’angoscia della sopravvivenza, sia come individui, sia come popoli e nazioni. Non solo a motivo della follia delle guerre, delle armi nucleari o batteriche, dell’aumento dei problemi economici delle nazioni più povere e dei problemi ecologici, ma per tutto ciò che questi problemi rivelano: il desiderio di onnipotenza, il venir meno del rispetto reciproco e della dignità, la massificazione culturale, la menzogna divenuta sistema. Le istituzioni non sono più un punto di riferimento e viene meno la passione. Tutto è dovuto, tutto è scontato. La figura di Maria ci viene presentata oggi come ritorno alla speranza originaria, alla promessa di Dio e alla fiducia. È di tutto questo che parlano le letture di oggi.
Prima lettura: Gen. 3,9-15.20
L’incontro tra Dio e Adamo che si era nascosto è una di quelle pagine bibliche che devono essere comprese come un “archetipo fondatore”, in quanto edificano e spiegano la storia di ciascuno, di «ogni Adamo e ogni Eva» che abitano la terra, di ogni volto che si incontra sul cammino della vita. È la storia di tutti riportata “alle origini”. In effetti, il termine ebraico bereshit – prima parola della Bibbia – significa “principio”, ma anche “archetipo”. Se questo è vero, allora ogni uomo è ’adam e la domanda «Adamo, dove sei?» ci riguarda tutti, intimamente, come individui, come comunità e come chiesa. Dove siamo? Dove andiamo? Leggendo la storia dell’umanità, ci si rende conto come la risposta sia stata cercata con ogni mezzo e in ogni luogo. Ma oggi, siamo ancora in grado di farcela? Cos’è l’uomo? Immagine di Dio e argilla, figlio o ribelle, ipocrita e nostalgico, sazio e assetato… Questo o quello? È importante che ci facciamo la domanda e che non ci nascondiamo. Martin Buber ha scritto: «Adamo si nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla responsabilità della propria vita. Così si nasconde ogni uomo… Proprio nascondendosi così e persistendo sempre in questo nascondimento… l’uomo scivola sempre, e sempre più profondamente, nella falsità. Si crea in tal modo una nuova situazione che, di giorno in giorno e di nascondimento in nascondimento, diventa sempre più problematica… Ed è proprio in questa situazione che lo coglie la domanda di Dio: vuole turbare l’uomo, distruggere il suo congegno di nascondimento, fargli vedere dove lo ha condotto una strada sbagliata… A questo punto tutto dipende dal fatto che l’uomo si ponga o no la domanda».
Al «dove sei?» Adamo risponde: «Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Il simbolo della nudità, nella Bibbia, è ambivalente: significa vergogna, ma anche verità. Nel bel racconto della storia del rapporto tra Dio e il suo popolo, ricordato nel capitolo 16 del libro di Ezechiele, si fa accenno alla nudità di Israele e alla cura di Dio: «Crescesti, ti facesti grande… ma eri ancora nuda. Ti passai vicino e ti vidi; eri proprio nel tempo dell’amore. Allora stesi il mio lembo su di te, coprii la tua nudità, ti feci un giuramento, feci con te un patto, oracolo di Dio, mio Signore, e fosti mia». La nudità è la situazione dell’uomo: la sua verità e il suo disagio. Ma il riconoscimento di questa dimensione è il primo importante passo verso la riconciliazione con se stessi, con gli altri e con l’Altro. Fuggire come Adamo non serve: è necessario rimanere e capire che Dio non è altrove, ma altrimenti. Dio non è oltre il nostro limite, sulle strade dell’immaginario e dell’utopia, ma proprio là dove noi ci troviamo. Solo a chi si conosce come “questo uomo”, “questa donna” è promessa la vittoria: al seme della donna, ossia a tutti i figli e figlie di Adamo che riconoscono i loro limiti e non fuggono, ma si adoperano perché essi diventino una scuola di umanità, una porta da attraversare per incamminarsi sulla via della vita. Maria ha insegnato la strada ed è ciò di cui ci parla il Vangelo.
Il Vangelo: Lc 1,26-38
Per comprendere la funzione del racconto dell’annunciazione a Maria è necessario dare uno sguardo al contesto in cui è collocato. A un lettore attento e credente è subito chiaro che queste pagine sono state scritte nell’ottica di un Progetto di Salvezza che abbraccia la vita di ogni essere umano: dal primo all’ultimo “Adamo” che vivrà sulla terra. In questa pagina non vengono riportati fatti di cronaca, ma si esprime il Progetto eterno di Dio che si manifesta ora nella nascita di un “Figlio”.
La sterilità e la vecchiaia di Elisabetta mettono in luce il tempo in cui si colloca l’iniziativa divina: un tempo simile al nostro, in cui uomini affannati e senza mèta vivono all’insegna del successo e del guadagno. Eppure in questo tempo – proprio in questo tempo – Dio parla ancora una volta: a una donna sconosciuta in un paese sperduto nell’immenso territorio dell’impero romano.
Il testo non dice che l’angelo “apparve”, ma che “entrò”, quasi a significare che l’incontro con Dio avviene negli eventi più ordinari della vita, quali l’uscire e l’entrare in un luogo. Le prime parole dell’angelo contengono un saluto e una benedizione molto frequente nell’Antico Testamento: il Signore è con te. Con questa espressione Maria è posta davanti a una missione particolare, in linea con uomini e donne dell’Antico Testamento, scelti da Dio per un compito di salvezza. Maria viene interpellata e rassicurata dalla promessa di una Presenza.
Il suo turbamento non è la paura di Adamo che si nasconde agli occhi di Dio, e neppure la paura di Zaccaria che, davanti alla visione dell’angelo, è assalito dal dubbio. Il turbamento di Maria è provocato dalla parola a lei rivolta. Davanti a Dio e al suo misterioso appello, l’uomo avverte sempre la sua piccolezza: Mosè deve coprirsi il volto quando la Gloria passa davanti a lui, il profeta Isaia si sente un uomo dalle labbra impure e Geremia avverte la sua naturale inadeguatezza. L’ingresso di Dio nella vita di un uomo provoca sconcerto e domande, ma assicura anche la Presenza. Dio sarà presente: nella ricerca faticosa e nell’affanno, nella luce e nelle tenebre. La sua domanda «come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» non esprime dubbio o incertezza, ma la sapienza dei semplici. Perché il grado di realizzazione di una vita consiste nel comprendere la grazia che alberga dentro la propria situazione, dentro i propri limiti. Ancora Martin Buber: «… nella situazione che mi è toccata in sorte, in quello che mi capita giorno dopo giorno, in quello che la vita quotidiana mi richiede: proprio in questo risiede il mio compito essenziale, lì si trova il compimento dell’esistenza messo alla mia portata… Quand’anche la nostra potenza si estendesse fino alle estremità della terra, la nostra esistenza non raggiungerebbe il grado di compimento che può conferirle il rapporto di silenziosa dedizione a quanto ci vive accanto. Quand’anche penetrassimo nei segreti dei mondi superiori, la nostra partecipazione reale all’esistenza autentica sarebbe minore di quando, nel corso della nostra vita quotidiana, svolgiamo con santa intenzione l’opera che ci spetta. È sotto la stufa di casa nostra che è sepolto il nostro tesoro».
Alle domande di Maria, Dio risponde. Come nel tempo passato con i profeti e con i suoi servitori, anche con Maria Dio agisce, colmando la distanza: trasformata dalla grazia e dalla potenza creatrice dello Spirito, essa diverrà la madre del Figlio di Dio. Il testo non si sofferma su aspetti psicologici o periferici: tutta l’attenzione si concentra sul Figlio che nascerà da lei e sulla potenza creatrice e vitale di Dio, capace di fecondare la storia di Israele e dell’umanità, grazie alla disponibilità di una ragazza del popolo. Maria rappresenta la donna Eva e l’uomo Adamo, rinnovati, che non hanno più paura di incrociare lo sguardo di Dio.
Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano