Il tema della Domenica
Nel dipanarsi delle vicende umane, ci sono momenti in cui la voce di Dio risuona chiara, forte, momenti in cui essa è appena percettibile e altri in cui è assente. Per lo più, non dipende dalla voce stessa, ma dal cuore sgombro, dalla sonnolenza del chiamato, dal trambusto del commercio quotidiano e, non ultimamente, dal desiderio di ascolto. Le letture odierne ci presentano questo aspetto centrale della vita cristiana: la voce di Dio e la risposta umana.
La prima lettura: 1Sam 3,3b-10.19
Il tempo in cui si colloca la chiamata di Samuele è un momento difficile della storia di Israele, per diverse ragioni. A livello politico, i filistei costituiscono una minaccia sempre più incombente, a motivo della loro costante infiltrazione nel territorio di Israele e della loro maggiore organizzazione politico-militare. A livello religioso, l’immagine del vecchio sacerdote Eli “dormiente” e debole (c. 3), con i suoi due figli ingordi e senza scrupoli (c. 2), rappresenta con eloquenza una fine ormai alle porte. La parola del Signore, «rara in quei giorni», connota nitidamente la noncuranza del popolo intero verso Colui che lo aveva fatto uscire Israele dall’Egitto e lo aveva condotto nella terra.
Quasi tutto questo non bastasse, di lì a poco, in uno scontro cruento in cui morirono anche i due figli di Eli, l’arca dell’alleanza, simbolo della presenza di Dio, sarebbe stata sequestrata dai nemici di sempre (i filistei) e, alla notizia, sarebbe morto lo stesso Eli, cadendo all’indietro e battendo la nuca (c. 3). La rovina del suo casato era ormai segnata per sempre, e così avvenne.
D’improvviso, però, in questa situazione squallida e senza speranza, la chiamata del giovane Samuele da parte di Dio imprime una direzione nuova agli eventi. Un nuovo inizio, come spesso avviene nella storia della salvezza: un inizio che ha la sua origine nella chiamata del giovane Samuele.
Nello schema vocazionale presentato dal testo, almeno tre elementi sono degni di nota.
Il primo concerne Dio, perché è sempre lui che chiama e sveglia Samuele. Per quattro volte risuona il verbo “chiamare” e il nome del giovinetto, sempre sulla bocca di Dio. All’origine di ogni cammino non c’è l’essere umano, con i suoi meriti e le sue pretese. Al principio sta l’iniziativa di Qualcuno che, pronunciando il nostro nome, dà noi a noi stessi e, dandoci a noi stessi, ci dona agli altri. La radice e la ragione della missione affidata a Samuele non risiedono in una sua decisione, ma nel mistero di Dio.
Il secondo elemento, degno di nota, è che la vocazione di Samuele matura mediante una scoperta progressiva, una ricerca sempre più attenta. Non è una vocazione improvvisa, subitanea e sconvolgente, come quella di Paolo, ma una vocazione graduale, che si realizza nel riconoscimento progressivo di una voce che in un primo momento rimane senza volto. Solo alla terza chiamata il vecchio Eli intuisce, e istruisce il suo discepolo sul da farsi. La Parola richiede attenzione. L’uomo preferisce l’immagine, perché più consona al desiderio umano di afferrare e impossessarsi. La voce, invece, richiede attenzione e rispetto dell’alterità: non la si può tenere, ma solo ascoltare. Dio nessuno lo ha mai visto; Dio è percepibile solo mediante la sua parola, attentamente accolta e meditata. Ma la voce di Dio è percepibile solo da chi non teme l’invisibile.
Il terzo e ultimo elemento di questo processo vocazionale è l’ascolto: «parla Signore perché il tuo servo ti ascolta» è la risposta adeguata alla chiamata di Dio. Shema’ Israel / ascolta Israele segna l’inizio del credo di Israele (Dt 6,4). Ma l’ascolto non richiede solo assenza di rumori; in realtà la chiamata di Samuele avviene nella notte, “quando la lampada di Dio” che veniva acceso alla sera “non era ancora spenta”. E tuttavia, nonostante il silenzio notturno, per due volte, la voce divina non viene percepita. L’ascolto di Dio richiede un cuore libero e disponibile, senza il quale sarà sempre e solo l’uomo a parlare e a dettare le condizioni. L’ascolto richiede unità e silenzio interiore, accoglienza e obbedienza, perché solo quando si permette all’altro di far breccia dentro di noi possiamo essere certi di avergli lasciato lo spazio necessario per una comunione di vita.
Il Vangelo: Gv 1,35-42
Il Vangelo ci parla ancora di una voce che interpella e mette in movimento, addita un cammino e chiama a seguire. È la voce di Gesù nell’incontro con i suoi primi discepoli, così come viene raccontato nel Quarto Vangelo. L’episodio è collocato nella settimana inaugurale, che apre il ministero del Verbo incarnato (1,19-2,11): una settimana scandita dalla testimonianza del Battista e dagli eventi iniziali riguardanti Gesù, fino al primo segno di Cana.
L’incontro con i primi discepoli avviene grazie alla testimonianza del Battista che addita l’agnello di Dio che passa. La domanda che Gesù rivolge ai due discepoli di Giovanni che incominciano a seguirlo è importante, perché si tratta delle prime parole di Gesù nel Quarto Vangelo: «che cosa cercate?». Potremmo definirla una domanda di senso, che ciascuno deve porsi con chiarezza all’inizio di un cammino. È interessante che una variante del testo riporti la domanda introducendo il pronome personale maschile: non più «che cosa cercate?», ma «chi cercate?». A Maria di Magdala che cerca il suo Signore nella tomba vuota, il Risorto rivolgerà proprio questa domanda: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?».
Il passaggio dal che cosa al chi disegna il cammino del discepolato. Commentando il brano dei due discepoli, Bultmann vede nella domanda iniziale di Gesù un’esigenza di chiarezza. È la domanda di senso, che ciascuno ha bisogno di porsi, quando si desidera veramente l’incontro con qualcuno (il chi), perché la ricerca può essere anche ambigua e fuorviante. Giovanni stesso, più avanti, metterà sulle labbra di Gesù questo rimprovero rivolto alle folle: «In verità, in verità vi dico che voi mi cercate, non perché avete visto dei segni miracolosi, ma perché avete mangiato dei pani e siete stati saziati» (6,26). E Agostino, nel commento a un passo del Vangelo di Giovanni, non si fa scrupolo di annotare: «Quanti sono coloro che cercano Gesù solo per averne favori temporali! Uno deve combinare un affare, e cerca perciò la mediazione del chierico; un altro è perseguitato da qualche pezzo grosso, e cerca rifugio in chiesa; un altro vuole essere raccomandato presso qualche potente, di fronte al quale egli conta poco. Uno vuole questo, uno vuole quell’altro; la chiesa è piena di gente simile. Di rado si trova qualcuno che cerca Gesù per Gesù».
La contro-domanda che i due discepoli interpellati rivolgono a Gesù mostra che la loro ricerca è autentica: «Rabbi, dove abiti (dove rimani)?». Il verbo greco, utilizzato qui dall’evangelista, è uno dei preferiti da Giovanni e racchiude una densità teologica notevole. Si tratta del verbo menein /rimanere, che nel linguaggio quotidiano potrebbe anche avere il senso di “alloggiare”, ma nel contesto della teologia giovannea acquista ben altro significato. «Dove rimani?» è la domanda dell’uomo che cerca stabilità, durata, una casa dove porre fine al suo vagabondaggio, e ultimamente, il senso definitivo della vita. «Venite e vedrete» è la provocazione conclusiva di Gesù. È l’appello a fare della propria vita un’esperienza di fede, di relazione con lui e con il Padre. Ciò richiede l’abbandono di una concezione di vita contrassegnata dall’accumulo e dalla voracità di esperienze, richiede un rimanere che si traduce in ascolto e comunione. Richiede che ci fidiamo della Voce che ci chiama.
Don Massimo Grilli,
Docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano