Commento alla Parola nella III Domenica di Pasqua /B

Il tema della Domenica

Un filo rosso percorre le letture di questa terza domenica dopo pasqua; un filo che permette di penetrare sempre più nel significato del mistero pasquale: dal kerygma che chiede il cambiamento di una logica puramente umana (Atti), si passa alla vita vissuta come criterio dell’appartenenza a Dio (1Gv), per arrivare infine alla testimonianza (Lc). Si tratta del cammino della vita cristiana, in tutte le sue componenti, un cammino che, alla luce della pasqua, acquista un senso particolare, perché si tratta della professione nel Dio creatore, il Dio della vita, che ha la potestà di resuscitare Cristo e, in Cristo, ogni vita, trasformandola in testimonianza del suo amore.

Prima lettura: At 3,13-15.17-19

L’appello alla conversione è il primo passo richiesto all’uomo, nel nome del Signore risorto. È interessante che la domanda della conversione venga rivolta qui non a dei pagani, ma a dei credenti. Il discorso di Pietro è diretto infatti a degli uomini pii i quali, per eccesso di zelo verso la Legge (il testo parla di “ignoranza”), hanno messo in croce l’autore della vita. Certamente il brano risente del contesto dell’annuncio missionario da parte della comunità cristiana delle origini, ma non va sottovalutato lo schema di fondo che soggiace a tutti i discorsi missionari degli Atti, e che vale in ogni tempo e in ogni luogo. Ogni discorso proclama il kerygma di Gesù morto e risorto e chiede un cambiamento radicale di vita.

Il kerygma viene proclamato in una storia insensata, che il testo degli Atti manifesta contrapponendo l’opera degli uomini («voi avete rinnegato, consegnato e ucciso») all’opera di Dio («Dio ha risuscitato e glorificato»). La risurrezione di Cristo è la risposta di Dio a un mondo fondato sulla violenza e sulla menzogna, che bandisce i giusti e uccide coloro che guariscono e danno vita. È la storia di Gesù, ma non solo, perché le stesse vicende si ripetono, continuamente.

Sembrerebbe un cammino senza speranza quello che ha il potere di trasformare in necessità storica la stoltezza umana, assuefatta a versare il sangue dei giusti: dal sangue di Abele, fino al sangue dei profeti e di Gesù, servo di Dio. In effetti, ieri come oggi, l’istinto di morte accompagna il cammino degli esseri umani e le pietre scelte per la costruzione del mondo, le pietre che regolano i rapporti tra nazioni e individui, hanno poco a che fare con la logica di Dio. E tuttavia, se andiamo a fondo, questa è solo una parte della verità e non è l’ultima parola sulla storia. Perché proprio in “questa” storia maledetta qualcosa di nuovo è avvenuto: il giusto crocifisso, è stato costituito Signore. Se la verità fosse davvero questa, allora possiamo dire che c’è un’altra legge, nascosta tra le zolle della terra, e che il potere della morte non è invincibile; anzi, è stato smascherato e vinto. Dio è l’artefice di una creazione nuova mediante il Crocifisso-Risorto, che egli ha posto come kairos decisivo della storia e di ogni vita umana.

Cristo è stato chiamato ad essere colui che permette il passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita. La croce non è più solo una condanna perché, con la sua doppia sbarra, ha cambiato le vicende umane. La conversione non è altro che il passaggio dell’uomo a un’altra verità: la verità di Dio. Certo, Dio non è venuto a schiodare i crocifissi, ma nel Crocifisso ha ribaltato il sistema di menzogna costruito dall’uomo e ha mostrato che la verità non si misura sulle armi dei vincitori, ma sulle opere dei giusti. È a questo punto che si inserisce la seconda componente del cammino: quella che Giovanni chiama l’osservanza della Parola.

Seconda lettura: 1Gv 2,1-5a

Nel testo della prima lettera di Giovanni abbiamo di fronte due modi di intendere la vita cristiana. Da una parte ci sono quelli che l’autore chiama “gli eretici”, i quali identificano la via di Dio come una via di “conoscenza”, dall’altra ci sono invece coloro che cercano la comunione con Dio osservando la sua Parola. La polemica di Giovanni prende spunto forse da tendenze pre-gnostiche, che serpeggiavano all’interno della comunità cristiana e che attraevano soprattutto persone di una certa cultura. La loro sapienza – di tipo conoscitivo, filosofico – rischiava di trasformare, in modo piuttosto subdolo, la verità cristiana in quello che noi oggi chiameremmo forse una religione intimistica. A loro parere, la comunione con Dio si raggiungerebbe per conoscenza interiore, in una sorta di fuga dal mondo, e le azioni dell’uomo non avrebbero il potere di inficiare la dignità del credente. In contrapposizione a questa posizione, l’autore della lettera dà come criterio della comunione con Dio la vita vissuta nell’osservanza della Parola e dei comandamenti. Il criterio della comunione con Dio è la prassi, e non una generica attestazione di conoscenza di Dio superiore e raffinata.

Potrebbero sembrare problemi di altri tempi, e invece sono estremamente attuali, perché ogni tempo è tentato di scambiare la propria pace del cuore con la verità di Dio. Giovanni presenta una dimensione fondamentale dell’esistenza cristiana: la conoscenza di Dio non abita nel piccolo nido o nel recinto che ci siamo creati a riparo dal mondo. La comunione con Dio deve tradursi in un atteggiamento di vita, che mette in questione il mondo e la sua logica. La fede è chiamata a diventare progetto fattivo, che non confonde la comunione con il narcisismo e la verità di Dio con una sapienza mondana e alienante. L’ortoprassi diventa il criterio dell’autentica ortodossia: la vera testimonianza della vita nuova, e questo – sì – è una sfida per tutti.

Il Vangelo: Lc 24,35-48

Il brano evangelico di Luca rappresenta il momento terminale di questo breve itinerario della vita cristiana che va dal kerygma alla testimonianza. Siamo nell’ultima tappa della vita di Gesù, prima della sua ascensione al cielo. La convivialità è un tratto tipico della vita di Gesù ed è estremamente significativo che il motivo ricorra anche a conclusione del vangelo, nell’ultimo pasto che Gesù consuma con i suoi discepoli, prima del suo ritorno al Padre. L’intenzione del testo non è concentrata sul come della risurrezione, ma sul fatto che il Risorto non è altri che il Gesù terreno, il crocifisso. In questo modo, la terza lettura si ricongiunge idealmente alla prima.

Agli undici discepoli, impauriti e dubbiosi, Gesù mostra che tutto ha un senso, tutto è grazia, perché rientra nel disegno salvifico di Dio consegnato alle Scritture. In questa luce, la passione, morte e risurrezione non è il fallimento di un progetto, ma il suo adempimento, perché anche nella morte è inscritta la Parola di salvezza. In questa linea vanno compresi la conversione e il perdono dei peccati che il Risorto affida alla testimonianza dei suoi. Convertirsi per Luca significa ritornare a leggere la propria vita in un progetto di salvezza (nella verità di Dio, dicevo commentando la prima lettura). Un progetto che il Padre ha disegnato per tutte le genti, ma soprattutto per i figli che hanno abbandonato la casa del Padre (Lc 15), i peccatori pubblici (Lc 7), i farisei che si ritengono giusti disprezzando gli altri (Lc 7), i ricchi che hanno accumulato per sé (Lc 16 e Lc 19), i delinquenti appesi a un patibolo (Lc 23)… A tutti è dato di rincominciare.

«Voi di questo siete testimoni» è la frase conclusiva, con un’enfasi particolare sul voi, che nel testo greco è al primo posto. In questo modo, undici uomini – e con loro i credenti di tutte le generazioni – vengono resi responsabili dell’opera di Gesù: il regno di Dio, annuncio della conversione e del perdono, lieviterà grazie alla testimonianza della loro vita. Non si tratta solo di insegnare, ma di testimoniare, perché la fede nasce dal coinvolgimento personale nel destino della Parola. Non si testimonia qualcosa, si testimonia Qualcuno e Luca lo mostra fin dall’inizio degli Atti, presentando la figura di Stefano, il testimone per eccellenza. La pasqua diventa così la possibilità nuova, data a un mondo in agonia, di prendere l’utopia come misura del vivere. Un’utopia, s’intende, fondata non su speculazioni umane, ma sulla certezza che Dio ha vinto la morte.

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano