Il tema della Domenica
Pietro e Paolo, due figure così diverse se si guarda l’indole, la provenienza, la cultura e persino la comprensione del modello di chiesa…, eppure così vicine nella fede condivisa e nella convinzione della salvezza di Dio per ogni essere vivente, manifestata in Cristo Gesù. Uomini diversi che non hanno avuto paura di affrontarsi e confrontarsi di fronte a decisioni e tensioni da sciogliere (cfr. Gal 2), nella certezza che tutto va vissuto nella ricerca del disegno divino inscritto nella storia e manifestato nella Parola. Pietro e Paolo, testimoni di verità e libertà, umanità e grazia.
Prima lettura: At 12,1-11
Il racconto lucano presente negli Atti è fondamentalmente un racconto di liberazione. Dio che, sin dalle origini, si era presentato come un Dio redentore nei confronti del suo popolo oppresso, continua ad esserlo ancora oggi, nel momento di un nuovo esodo ecclesiale. Pietro diventa il testimone che Dio non dimentica e non abbandona i suoi fedeli nel buio della notte, ma viene incontro, rimette in cammino (Alzati in fretta: v.7!), spezzando catene inique.
L’angelo del Signore che spezza le catene che immobilizzano e imprigionano è una bella metafora di ciò che significa oggi celebrare Dio nella città dell’uomo: testimoniare la Vita che irrompe tra le macerie della morte che ci assedia, una Vita che si assume la responsabilità di coloro che abitano nel Regno dell’Ade. Giovanni Crisostomo, nelle sue omelie sul Vangelo di Giovanni, lo aveva espresso con tutta chiarezza: «Il combattimento di Cristo e quello del cristiano è un combattimento contro la morte». Una lotta contro la morte, dunque, e contro tutte le sue anticipazioni che sono la paura, l’odio, le malattie, le oppressioni, la fame, l’estraneità, le violenze palesi e nascoste… Il cristiano è sempre là dove si combatte la battaglia decisiva per la liberazione dell’essere umano, contro la morte che tenta di accerchiarci ogni giorno, nella consapevolezza che Cristo l’ha già vinta. Abbiamo detto più volte che la morte di Gesù come un malfattore attesta che l’amore di Dio trova la strada per arrivare fino alla morte del malfattore. Se Gesù muore in un inferno di peccato e di solitudine, e se in quel momento Dio è presente, allora significa che nessun inferno ha il potere di lasciare Dio fuori della sua porta. Nessuno potrà mai disperare dell’incontro con Dio, anche quando avesse fatto della sua vita una vita d’inferno. Dio stesso varcherà l’abisso. Nessuna notte è tanto buia da impedire alla luce di entrare.
Il Vangelo: Mt 16,13-19
Il famoso testo matteano, che viene letto nella festa di Pietro e Paolo, ha alimentato (e continua ad alimentare) non pochi pareri contrapposti tra le confessioni cristiane. È stato visto anche come un passo polemico nei confronti del ruolo di Paolo nella Chiesa delle origini, ma non è di questo che si tratta e, in fondo, neanche fondamentalmente del «primato di Pietro» nella chiesa. Si parla della fede e dell’unico primato degno di essere considerato: quello di Cristo, la vera roccia su cui è fondata la Chiesa. In questa linea, molti anni fa (nel 2001) si muoveva anche l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, J. Ratzinger, quando in una lezione sull’ecclesiologia affermava: «… la prima parola della Chiesa è Cristo e non se stessa; essa è sana nella misura in cui tutta la sua attenzione è rivolta a Lui… […] Infatti una Chiesa, che esiste solo per se stessa, sarebbe superflua…La crisi della Chiesa, come essa si rispecchia nel concetto di popolo di Dio, è «crisi di Dio»; essa risulta dall’abbandono dell’essenziale. Ciò che resta, è ormai solo una lotta per il potere. Di questa ve ne è abbastanza altrove nel mondo, per questa non c’è bisogno della Chiesa».
Con «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» Pietro professa a Cesarea questa fede, che non è però frutto della sua carne e del suo sangue, ma del Dio fedele, a cui la fede della Chiesa deve sempre far riferimento. È una fede sempre da rinnovare e da incentivare, perché sempre esposta al rischio e alla tentazione di cadere. Una fede fragile, come quella di Pietro e degli altri discepoli. Matteo parla spesso nel suo Vangelo di oligo-pistia / fede piccola, debole e Pietro – come tutti gli altri – viene rimproverato da Gesù proprio a motivo di ciò quando, trovandosi in pericolo grida «Signore salvami!» (14,30), e Gesù di rimando: «perché hai dubitato uomo di poca fede?» (Mt 14,31). Abbiamo continuamente bisogno di riconciliarci con la fragilità della nostra fede, nutrendola non con riconoscimenti e meriti propri, ma con il convincimento che essa vive piccola come un granello di senape, come un ramoscello. È una manciata di lievito nella pasta della storia, ma è proprio questa la fede evangelica che feconda.
La fede in Cristo non si ciba di grandi strutture, prestigio e competizione, ma della Parola di Dio, affidandone gli esiti alla logica di Dio e non alla nostra. Ritrovare la logica di Dio, ritornare alla fiducia nel lievito e nel chicco di grano che muore per dare frutto, è la strada maestra per ritrovare oggi la fede che vivifica. Dietrich Bonhoeffer, il martire della chiesa confessante, ha scritto una testimonianza capace di fecondare anche il nostro tempo: «È mai possibile che il cristianesimo iniziato in modo così rivoluzionario, ora sia sempre più conservatore? Che ogni nuovo movimento debba aprirsi la strada senza la chiesa e che la chiesa intuisca sempre con un minimo di venti anni di ritardo ciò che effettivamente accaduto? Se davvero è così, non dobbiamo meravigliarci che anche per la nostra chiesa torni il tempo in cui sarà richiesto il sangue dei martiri. Ma questo sangue, ammesso che abbiamo ancora veramente il coraggio e la fedeltà di versarlo, non sarà così innocente e luminoso come quello dei primi testimoni…». Sulla scia di Pietro e di Paolo, la nostra Chiesa troverà nuova linfa se avrà il coraggio di riportare al centro Dio e non sé stessa.
Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano