Commento alla Parola nella Solennità della Trinità /C – 15 giugno 2025

Il tema della Domenica

Trinità e Amore sono un unico mistero. Non possono esistere separatamente: l’una non può stare senza l’altro. Come l’Amore, la Trinità è un mistero trascendente ma vicino; nascosto, ma rivestito di luce abbagliante; forza estrema ma discreta; che provoca vertigini ma guarisce… Un Dio inaccessibile e personale, che può essere conosciuto e amato come Padre, Figlio e Spirito.

Prima lettura: Prov 8,22-31

Il mistero di Dio è quello della sua Sapienza. La descrizione che ne fa il libro dei Proverbi è estremamente affascinante, perché la Sapienza viene descritta come la primizia dell’opera divina. È interessante notare come il testo insista particolarmente su un lessico che evidenzia il posto peculiare della Sapienza in rapporto a tutte le altre creature: lei viene «prima», è costituita fin dal «principio».

«In principio», dunque, non si dà l’agire dell’uomo, i suoi progetti e le sue costruzioni…, ma la Sapienza creatrice di Dio, che dona vita e armonia all’universo. «In principio» non stanno le cose, ma lei, che «non abita in templi costruiti dalle mani dell’uomo», pur essendo vicino a ciascuno di noi, perché in lei «noi viviamo, ci muoviamo e siamo» (At 17,25-28). Si capisce, allora, come bereshit – la prima parola della Bibbia ebraica – sia anzitutto un rimando all’assoluto di Dio, alla Sapienza da cui tutto proviene. E se, da una parte, questo lascia intravedere la piccolezza dell’essere umano – perché, in ogni caso, la sua sapienza è, e sarà sempre, quella del giorno dopo – dall’altra, mostra come il piccolo uomo sia immerso nel grande progetto di Dio e della sua azione creatrice, da cui tutto ha origine e grazie a cui tutto sussiste.

E, infatti, nella seconda parte della lettura, tratta dal libro dei Proverbi, troviamo la Sapienza accanto al Dio creatore, non solo come spettatrice degli eventi, ma come collaboratrice: «io ero con lui come architetto, ed ero la sua delizia ogni giorno, mi rallegravo… ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo!». Quando la Sapienza diventa attrice, incomincia la danza della creazione davanti al suo creatore, a testimoniare che il cosmo non è frutto di un destino malvagio o di una insipiente casualità.

Il canto delle origini diventa, così, anche il canto della storia salvifica: il canto del cammino del creato verso il compimento del «settimo giorno». Infatti, bereshit non sta a significare solo gli inizi, ma «l’inizio», e cioè il senso ultimo delle cose, il traguardo che ci permette di capire da dove veniamo, dove andiamo e chi siamo. Bereshit significa “primizia”, “parte pregiata”. Quasi a dire che la creazione, la grande primizia della sapienza di Dio, è solo il primo frutto di una stagione che abbraccia tutto il cammino di salvezza. Il canto dell’inizio, dunque, va anche inteso come il canto del progetto ultimo, in cui tutto trova senso e riposo. Dall’origine fino al suo compimento la storia umana avanzerà tra gioie e preoccupazioni, successi e fallimenti; se ne andrà segnata dalla sofferenza, dal peccato e dalla morte…, ma tutto è sotto gli occhi dell’Onnipotente che ha creato il cielo e la terra: nessuna lacrima scorrerà invano, nessun sospiro rimarrà inascoltato.

Si può, allora, comprendere il senso di stupore che avvolge il piccolo uomo davanti alla magnificenza del creato: «quando contemplo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che vi hai disposto… che cosa è l’uomo che ti ricordi di lui, o il figlio dell’uomo che tu ne debba aver cura?» (Sal 8,4-5). Una meraviglia che non deve venir meno neppure quando la cruda realtà delle vicende umane sembra contraddire la promessa di una creazione “buona” e la morte sembra rinchiudere nella sua prigione il fascino di un mondo voluto dall’Amore. Anche in questi momenti, l’uomo è chiamato a guardare il creato.

Non a caso, la prima pagina della Bibbia è stata probabilmente scritta quando Israele era ridotto ormai a un piccolo resto, sconfitto e deluso. E non a caso, quel profeta sensibile e anonimo, conosciuto con il nome di Deuteroisaia, a un popolo annegato nella colpa e consegnato all’esperienza tragica dell’esilio, indirizza parole di coraggio, ricordando il Dio creatore: «Ascoltami Giacobbe e Israele che io ho chiamato: io sono il Primo e sono l’Ultimo. Sì, la mia mano ha fondato la terra e la mia destra ha disteso i cieli» (Is 48,12-13). All’umanità che talora assiste, impotente, alla distruzione di ciò che il giorno prima ha costruito, all’uomo incapace di immaginare e di progettare il futuro, il Dio creatore e salvatore ricorda di essere l’Alfa e l’Omega, il Principio e il Fine.

Il Vangelo: Gv 16,12-15

È stato detto che l’uomo contemporaneo non ama il mistero, perché vi scorge un limite al suo desiderio di potere e di possesso. Ma, senza mistero, niente è possibile: né l’incontro con Dio, né il dialogo con l’essere umano, né il rapporto con l’universo. Il recupero della distanza è il primo passo verso la comunione, perché comunione e incontro non sono mai confusione.

E tuttavia, la stessa Parola che esprime il mistero, dice anche vicinanza, dialogo e relazione: creando l’universo mediante il suo Verbo, Dio ha voluto instaurare un rapporto di intimità e intraprendere un cammino di salvezza. Questo rapporto di intimità si chiama Spirito Santo. Grazie a lui, «Spirito della verità», l’uomo sarà guidato a penetrare il mistero di Dio e il mistero del mondo, perché «egli guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e annuncerà le cose a venire» (Gv 16,13).

Su queste premesse si fonda l’attesa e la realizzazione di una «creazione nuova», opera di Dio, come la prima, ma ancora più straordinaria, perché di quella sarà il compimento: «infatti, io creo nuovi cieli e nuova terra; non ci si ricorderà più del passato, né esso tornerà alla mente. Sì, rallegratevi e gioite sempre, voi che io ho creato, perché ecco che io creo Gerusalemme “gioia” e il suo popolo “allegrezza”… non si udrà più voce di pianto e grido, non vi sarà più neonato che vivrà solo pochi giorni e vecchio che non arrivi alla pienezza dei suoi giorni… (Is 65,17-19). Di questa creazione nuova Gesù è la primizia perché in lui il Padre si compiacque «di riconciliare tutte le cose, rappacificando per mezzo del sangue della sua croce… sia le cose che sono sulla terra sia quelle nei cieli» (Col 1,20). Questa grandiosa visuale della redenzione cosmica offre al credente un fondamento sicuro sul quale riposare perché, se Dio ha posto «in lui» la riconciliazione e la pace, niente e nessuno potrà colpirci. In Cristo Gesù, Dio ha detto il suo “sì” totale e definitivo alla storia del creato, dei singoli e dei popoli. In Cristo Gesù, Dio si è degnato di amare «questo» mondo e «questo» essere umano che a noi, talvolta, appaiono indegni. Se Dio, una volta per tutte, ha pronunciato il suo «sì», ogni creatura è meritevole di accoglienza, e nessuna vita è indegna di essere vissuta. Dopo il «sì» di Dio, i gemiti della creazione, dell’uomo e dello Spirito (cf. Rm 8) non sono i rantoli di un morente, ma i dolori di una partoriente, che attende con impazienza la nascita di «un cielo nuovo e una terra nuova…, la città santa, la nuova Gerusalemme…» dove Dio «asciugherà ogni lacrima dagli occhi», e dove «la morte non ci sarà più, né lutto, né grido, né pena, perché le cose di prima sono scomparse» (Ap 21,1-4). Questa «nuova Gerusalemme», liberata dal sangue e dalla malvagità che ancora oggi vi albergano, è un dono di Dio, ma anche il compito di ogni donna e ogni uomo che vivono sulla terra.

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano