Il tema della Festa
Le tre letture di questo nuovo anno 2025 stimolano a riflettere sul tempo e sulla pienezza del tempo: i giorni dell’uomo e il tempo di Dio, in un intreccio che fa del quotidiano nascere e morire un tempo di benedizione e di vita. È stato detto che la dialettica del tempo è la dialettica delle relazioni (Lévinas) e sono proprio i rapporti che rendono il nostro tempo benedetto o maledetto e, in primo luogo, il rapporto con Dio.
Prima lettura: Nm 6,22-27
La lettura tratta dal libro dei Numeri riporta la formula, con cui i sacerdoti di Israele benedivano il popolo. È difficile trovare in così poche righe tanta ricchezza. Tra i tanti aspetti che potrebbero essere menzionati ne scelgo due.
Per l’AT, la benedizione è un dono incomparabile, perché solo Dio ne è in possesso. Nel breve testo ascoltato oggi, Jhwh viene menzionato tre volte e sempre come soggetto della benedizione. L’uomo non è fonte di benedizione, perché non è sorgente di vita. Nemmeno Abramo, il benedetto, possiede in sé la sorgente della benedizione. È solo grazie alla benedizione divina che egli diventa benedizione per il suo popolo e per tutte le nazioni. Soltanto Dio può assicurare fecondità, prosperità e pace. Certo l’uomo può, e deve, essere costruttore del mondo, ma deve farlo con la coscienza di essere in possesso soltanto di un frammento e non della pienezza. Il mistero non appartiene all’uomo. Nelle sue mani è la politica, l’arte, la scienza… cammini necessari – anzi, indispensabili – ma frammenti, appunto, che non abbracciano la portata del mistero.
E tuttavia – ed è il secondo aspetto – se la terra e l’uomo sono stati benedetti da Dio, la forza e la fedeltà di Dio, il suo soccorso e il suo amore hanno fatto il loro ingresso nel mondo e da quel momento accompagnano l’uomo nel suo andare e venire, nel suo nascere e morire… Se Dio ha concesso la sua benedizione, anche il frammento ha un senso: grazie alla Sua vicinanza il piccolo gesto umano diventa il tassello di un Progetto. Se Dio ha benedetto, l’uomo non se ne va più solo, in balìa di un tempo nemico, che gli ruba anni ed energie, ma cammina sotto le ali di una Benevolenza, che trasforma la sua breve giornata in tempo di salvezza. Nella benedizione sono a confronto la caducità dell’uomo e l’eternità divina. Come può l’uomo, fragile e mortale, stare davanti al Dio santo e immortale? Come fa l’uomo, che conta i giorni e gli anni, a stare dinnanzi a Colui per il quale mille anni sono come il giorno di ieri che è passato? Eppure una risposta – sebbene limitata – esiste: l’essere umano non ha stabilità ma, se Dio lo benedice, anche la radicale transitorietà umana diventa epifania dell’eternità divina.
A conclusione di una bella preghiera del re Davide, rivolta a Dio dopo la promessa di stabilità fatta a lui e alla sua discendenza, si legge: «Ti piaccia Signore, di benedire la casa del tuo servo perché sussista per sempre davanti a te; perché ciò che tu benedici resta benedetto per sempre» (1Cr 17,27). Ciò che Dio benedice resta per sempre benedetto. E, infatti, il brano del libro dei Numeri si conclude con l’imposizione del NOME di JHWH sugli israeliti; evento che evoca il sigillo sulla fronte, segno di un’appartenenza che niente e nessuno potrà spezzare: né il tempo, né l’infedeltà, né la morte.
Seconda lettura: Gal 4,4-7
Il brano tratto dalla lettera ai Galati ci permette di procedere in questa riflessione sull’essere umano e sul tempo, perché apre con “la pienezza del tempo”, che arriva grazie alla venuta del Figlio di Dio. Con questa espressione Paolo pensa a un tempo particolarmente atteso, che giunge finalmente come momento di liberazione e di grazia compiuta. All’inizio del capitolo quarto, l’apostolo descriveva la storia della salvezza, che procedeva obbedendo ai tempi della crescita umana: anch’essa scandita dalla fanciullezza e dall’età adulta, dal tempo della crescita e della maturità. «Ma quando giunse la pienezza del tempo, Dio inviò il Figlio suo, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sottoposti alla legge, affinché ricevessimo l’adozione a figli». La pienezza dà senso al cammino umano, ai giorni e agli anni dell’attesa, ai segmenti della storia personale e della storia universale. Il frammento non ha l’armonia e l’incanto dell’insieme e tuttavia, nella pienezza del tempo, anche il segmento trova il suo senso pieno, divenendo tempo di grazia e di responsabilità. Perché questo accadesse, Dio è sceso nella nostra umanità e si è fatto del tutto simile ai nati di donna; è diventato frammento, immergendosi nella dialettica del tempo dannato, per riscattare coloro che vivono il tempo come peso: i sofferenti, i disillusi, gli affaticati, i crocifissi… e dare a tutti la piena dignità di figli. Il tempo dell’uomo è ormai diventato un tempo visitato, un tempo benedetto, progetto e luogo di incontro, spazio fecondo.
Il Vangelo: Lc 2,16-21
Il brano evangelico spinge ancora avanti la riflessione. Nell’annuncio della nascita di Gesù ai pastori, che precede immediatamente il brano odierno, era risuonata, per la prima volta, una parola molto cara a Luca, il teologo della storia della salvezza: «Oggi vi è nato un salvatore, che è il Cristo Signore». Nella teologia lucana, l’oggi è il tempo di Gesù, la novità di Dio nello scorrere dei giorni. Nella sinagoga di Cafarnao, presentando la sua missione di evangelizzatore dei poveri, Gesù dirà: «Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). E, nella casa di Zaccheo il pubblicano, proclamerà: «Oggi la salvezza è giunta in questa casa» (Lc 19,9). L’oggi della benevolenza e del perdono sarà anche una delle ultime parole di Gesù, rivolte a un delinquente: «Oggi sarai con me, in paradiso» (Lc 23,43).
In questo oggi di grazia si colloca il viaggio dei pastori verso Betlemme. I pastori sono gli invisibili tra gli uomini, senza storia e senza peso. E tuttavia, sono loro i beneficiari del tempo di Dio. Interpellati, sanno stupirsi e s’incamminano mossi dalla meraviglia. A conclusione del cammino incontrano il mistero di un Dio-bambino, adagiato in una mangiatoia. Lo stupore non è il segno di una fede adulta, ma certamente ne è l’inizio: bisogna imparare a stupirsi per imparare a credere.
Ma Luca non si ferma allo stupore. Nella figura di Maria ci mostra anche la strada per giungere a una fede adulta. Maria ci viene presentata dal testo come colei che «conservava con cura tutte queste parole meditandole nel suo cuore». Il verbo greco syn-ballô, significa, di per sé, “tenere insieme”. Maria impara a conoscere il mistero degli eventi da cui è circondata, guardandoli con lo sguardo di Dio, che è sempre uno sguardo sim-bolico. L’uomo separa, divide: il suo sguardo è spesso dia-bolico e non solo perché l’essere umano sa discriminare e odiare, ma anche perché riesce a vedere solo in parte, a trovare solo frammenti di verità, briciole di senso. L’uomo si affida alle sue certezze, sminuzzando il senso degli eventi, ed è per questo che manca di vera comprensione. Maria, invece, è capace di uno sguardo sim-bolico, perché guarda gli eventi con la sapienza del cuore, dando credito al Signore di tutto. Maria vede eventi che superano le sue capacità, eventi difficili da tenere insieme; e tuttavia, da vera discepola, si lascia coinvolgere fino in fondo nel cammino di Dio, permettendo agli accadimenti umani e alla Parola di Dio di crescere insieme nel cuore, gli uni di fronte all’altra, gli uni con l’altra. in un dialogo proficuo che conduce il credente alla certezza che tutto ha un senso, che Tutto è Grazia.
Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano