Commento alla Parola nella Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell’Universo /B – 24 novembre 2024

Il tema della Festa

Colpisce che alla domanda esplicita di Pilato «Tu sei re?», Gesù risponda «Tu lo dici: sono re». La risposta suona inaspettata, perché nel capitolo sesto dello stesso Vangelo, il lettore aveva assistito a un’altra scena: di fronte alla folla in visibilio a motivo della moltiplicazione dei pani, sapendo che erano venuti per prenderlo e farlo re, Gesù era fuggito.

Forse il senso profondo della festa di oggi risiede proprio in questa antinomia: per un verso Gesù rifugge dall’arbitrio dei potenti, ma dall’altro – quando si trova di fronte al potere di Roma presente nella veste del suo rappresentante ufficiale – afferma la sua regalità: «io sono re e per questo sono venuto al mondo: per testimoniare la verità». L’accostamento di «regalità» e «verità» rende il discorso estremamente affascinante, perché il lettore vi intravede un aspetto sovversivo, che sconvolge i criteri su cui si fondano i regni di questo mondo.

Prima lettura: Dn 7,13-14

La sovranità di Gesù è anzitutto fondata sulla sua solidarietà con gli uomini. La figura del figlio dell’uomo di cui parla il profeta Daniele resta abbastanza misteriosa anche per gli addetti ai lavori. L’espressione aramaica che la definisce è bar enosh che potrebbe tradursi anche con figlio del genere umano. Alcuni studiosi vi riconoscono un individuo, altri una collettività; alcuni la interpretano come una figura messianica, per altri invece rappresenterebbe il popolo dei santi di Dio.

Una cosa è certa: nel libro di Daniele la figura del figlio dell’uomo si contrappone alle quattro bestie che rappresentano i regni della terra: scaltri, arroganti e nemici dell’Altissimo. La gloria e il regno che riceve il figlio dell’uomo non è affatto assimilabile al potere di questi signori, perché il suo regno non è fondato sull’ambizione o sulla competizione, ma solo sull’amore salvifico. Lo aveva compreso bene il Vangelo di Matteo che nell’ultima scena presenta Gesù, figlio dell’uomo, che invia i suoi discepoli ad annunciare la salvezza. Per i credenti in Cristo, Gesù è veramente il figlio dell’uomo, che si è fatto solidale con gli uomini fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato(Fil 2,8–9). In fondo non è proprio la solidarietà con gli ultimi della terra che ci rende figli degli uomini?

Il Vangelo: Gv 18,33b-37

La scena del dialogo tra Gesù e Pilato è situata all’interno di una struttura narrativa determinata dall’andirivieni di Pilato dall’interno all’esterno del suo palazzo. Nell’acuta simbologia giovannea, l’andirivieni denota l’ambiguità del potere, incarnato da un uomo oscillante, che pensa a difendere solo se stesso e il posto che occupa. Forte ironia, a spese di un personaggio che solo apparentemente detiene la potestà di salvare o mettere a morte Gesù, mentre il vero protagonista è un altro: il prigioniero impotente che è nelle sue mani. Non si tratta solo di un elemento di fine psicologia, ma di un dato fortemente teologico, che mette in risalto il capovolgimento dei ruoli nel momento in cui il potere dell’uomo sembra prevalere.

La teologia del Regno espressa dal dialogo è provocante, perché Gesù non nega di essere re e di avere un potere, ma contesta il potere che gli attribuisce il governatore romano. Agostino aveva compreso bene la proclamazione di Gesù che affermava: il mio regno non è di questo mondo, commentando: «Gesù non dice: il mio Regno non è “qui”, ma non è “da qui”». Il testo greco, infatti, utilizza l’avverbio enteuthen che ha un senso di provenienza. Il dialogo tra Gesù e Pilato, infatti, tratta dell’origine e, dunque, della natura della regalità. Gesù non nega di essere re, ma nega di essere “quel determinato re”, sottomesso ai giochi umani. Il che equivale a dire che la regalità di Cristo non prescinde dalla terra e il cristiano non fugge lontano dai problemi che attanagliano gli esseri umani, rifugiandosi nel regno della fantasia, ma fugge lontano dai “giochi di potere”.

Suonano del tutto vere le parole di Bonhoeffer, che affermava: «Noi siamo incatenati a questa terra. Essa è il luogo in cui stiamo in piedi e cadiamo. Ciò che accade sulla terra è ciò di cui dobbiamo rendere conto. E guai a noi cristiani se ciò fosse per noi occasione di vergogna, se alla fine si dovesse dire dell’ateo “servo buono e fedele…” per il fatto che egli è stato fedele ai compiti terreni che si è trovato davanti… Oggi è molto decisivo il fatto che noi cristiani abbiamo o non abbiamo forza sufficiente per testimoniare al mondo che non siamo sognatori e viandanti delle nuvole, che noi non siamo indifferenti all’andamento delle cose, che la nostra fede in effetti non è l’oppio che ci rende contenti in mezzo a un mondo ingiusto. E invece noi, proprio noi, che pensiamo alle cose dell’alto, protestiamo con le parole e le azioni per cercare a qualsiasi prezzo di portare avanti la situazione».

È vero: come afferma il martire della chiesa confessante, il cristiano testimonia la regalità di Gesù quando si fa viandante della terra, in mezzo ai regni umani, facendo giustizia, verità e misericordia. E tuttavia, le parole di Gesù a Pilato mostrano anche l’altra faccia del potere: quella che si riempie di belle parole come giustizia e pace, ma in realtà persegue fini propri. Il potere umano è quasi sempre generato dalla competizione e dal desiderio di primeggiare, a spese di tutto e di tutti. Il regno di Dio, invece, si afferma grazie alla verità e non ha altro scopo che il servizio della verità di Dio e della verità dell’essere umano. Gesù descrive infatti la sua funzione regale in termini di testimonianza alla verità: è qui la grande novità cristiana.

La verità, per Giovanni, è la rivelazione del mistero di salvezza di Dio, per cui gli uomini non sono sudditi, ma figli. La verità di Dio rivelata da Gesù non passa per il dominio e la costrizione, la manipolazione delle coscienze e la paura, ma si rivela mediante l’invito alla sequela. Gesù diventa re grazie all’ascolto della sua voce. Pilato rappresenta la regalità, che si chiude in difesa dei propri privilegi e dei propri interessi; Gesù testimonia una regalità che fa della croce il segno distintivo di un amore gratuito, che non cerca se stesso, ma l’uomo. Non è un caso che il Vangelo di Giovanni proclami la piena regalità di Gesù solo sulla croce. È la croce, vissuta per amore, a rivelare fino in fondo il senso vero del potere di Cristo.

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano