Il tema della Pasqua
«Chi ama il Signore si rallegri in questa festa di gioia. Il servitore fedele entri in allegria nella gioia del suo Signore. Chi ha atteso questo giorno nella penitenza, riceva la sua ricompensa. Chi ha lavorato fin dalla prima ora riceva oggi il salario che gli è dovuto; chi è arrivato dopo la terza sia lieto nel rendere grazie; chi è giunto dopo la sesta non abbia paura: non ci sarà punizione; chi ha tardato fino alla nona venga senza esitare; chi è arrivato all’undicesima, non creda di essere venuto troppo tardi. Perché il padrone è buono, accoglie l’ultimo come il primo, concede il riposo all’operaio dell’undicesima ora come a quello della prima, ha misericordia dell’ultimo e premia il primo… Entrate tutti nella gioia del Signore, ricevete tutti la ricompensa; ricchi e poveri, danzate insieme… Siate tutti nella gioia».
Con questo inno alla gioia, nella seconda metà del IV secolo, Giovanni Crisostomo esortava i credenti a celebrare la pasqua, nella certezza che tutti – nessuno escluso – in questo giorno, possono cantare la vita. Perché la morte è il retaggio di ogni uomo, la nostra più temibile verità, ma la pasqua è la gioiosa certezza che Dio è entrato – una volta per tutte – nel regno della morte. Nessuna sconfitta sarà ormai decisiva, nessun fallimento definitivo, nessun pianto per sempre. Ogni vita, grande o piccola, sublime o meschina, fiduciosa o disillusa… è attraversata ormai da una speranza.
Prima lettura: At 10,34a.37-43
Riassumendo l’opera di Dio compiuta in Gesù di Nazareth, l’autore degli Atti la presenta come un’opera di liberazione: «Dio ha consacrato in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, che passò facendo del bene e sanando tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui». È interessante notare che il verbo utilizzato da Luca per parlare degli uomini «sottomessi al potere del diavolo» è lo stesso che ricorre nel libro dell’Esodo (nella LXX) per descrivere la condizione di schiavitù del popolo di Dio sotto il faraone: «gli Egiziani sottomisero i figli d’Israele a un lavoro massacrante» (1,13). La sottomissione a colui che è «omicida fin dal principio» trova sempre delle espressioni storiche che manifestano la potenza distruttrice del peccato.
La pasqua si pone come la contestazione radicale di questa malvagità incarnata nella storia. Nella pasqua il passato, il presente e il futuro della storia di salvezza emergono come eventi di liberazione e di vita nuova. Una bella pagina del Targum legge la liberazione di Dio inscritta in quattro notti, quasi a dire che la notte non è più tale quando è attraversata da Dio: «La prima notte, quando YHWH si manifestò al mondo per crearlo: il mondo era confusione e caos e le tenebre erano sparse sulla superficie dell’abisso e la parola di YHWH era luce che brillava… La seconda notte, quando YHWH apparve ad Abramo vecchio ormai di cent’anni, per compiere quanto aveva detto la Scrittura… e Isacco aveva trentasette anni, quando venne offerto sull’altare, i cieli si abbassarono e discesero, e Isacco ne vide le perfezioni… La terza notte, quando YHWH apparve agli egiziani, nel cuore della notte… e la sua destra proteggeva i primogeniti di Israele… La quarta notte, quando il mondo arriverà alla sua fine per essere dissolto. I gioghi di ferro saranno spezzati… e il re Messia verrà dall’alto…: è la notte della pasqua per il nome di YHWH».
Questo significativo testo targumico e la liberazione apportata dal Messia Gesù – di cui parla il libro degli Atti – esprimono a meraviglia il senso della festa di oggi, perché la pasqua è la liberazione di tutti i figli degli uomini – e della stessa creazione – da ogni potere che umilia e deturpa, che soggioga e tiranneggia. Dal potere del diavolo, dicono gli Atti, sottolineando che la salvezza offerta da Dio non può certamente limitarsi a cambiare l’esterno, come se si trattasse di ottenere solo qualcosa di più e qualcosa di meglio. No, una salvezza che si limitasse alla conservazione o al mutamento delle condizioni sociali non sarebbe degna di questo nome, perché non risponderebbe alla verità di Dio e alla verità dell’uomo.
E tuttavia, per non vivere da alienati in un mondo scosso da ingiustizia e dolore, bisogna dire che la salvezza dal potere del diavolo riguarda la vita umana, in tutte le sue componenti: spirituali e fisiche, personali e relazionali. La pasqua è il dono della pienezza, espressa egregiamente dal termine ebraico shalom, bene pasquale per eccellenza. Là dove la malattia prostra l’uomo, dove la fame lo tormenta, dove la precarietà rende incerto l’avvenire, dove l’ingiustizia trionfa… la salvezza è lacerata. Le liberazioni umane non sono estranee alla salvezza di Dio, perché non si può essere credenti a spese della terra. La salvezza di pasqua è liberazione dell’uomo nella sua totalità. L’uomo pasquale è il creatore di giustizia là dove comanda la sopraffazione, di perdono là dove regna la vendetta, di rapporti fraterni là dove governa la lacerazione… la Pasqua è l’instaurazione della logica di Dio come misura del vivere. Lo testimonia tutto il vocabolario della salvezza che, sia nella visione del Primo Testamento come in quella del Nuovo, viene applicato alla liberazione da una malattia e da un pericolo, all’integrità fisica, psichica e spirituale. Lo testimonia soprattutto la coscienza messianica di Gesù e la percezione che ne hanno avuto i primi testimoni: pieno di Spirito Santo, Gesù passava tra gli uomini restituendo l’armonia del corpo e dello spirito, reintegrando gli esclusi, avvicinando i dannati, ristabilendo relazioni vere e giuste… Questa è la pasqua del Signore.
Il Vangelo: Gv 20,1-9
Il racconto giovanneo degli accadimenti nel primo giorno della settimana – con il correre di Maria di Magdala dai discepoli e di questi verso la tomba dove era stato posto il Signore – raggiunge finalmente il traguardo quando «il discepolo che Gesù amava» entrò nel sepolcro, «vide e credette». Il discepolo amato, dunque, correva, ma la sua fretta aveva un senso, una mèta. L’uomo frettoloso di oggi rischia di correre e di affannarsi senza un traguardo. Ci si abbandona al già pronto, alla consumazione immediata. Segnato dall’accelerazione, dalla frammentazione e dalla velocizzazione l’essere umano somiglia all’uomo proskairos / di un momento, incapace di costruire – o ricostruire – una storia, con fatica e perseveranza, senza cadere continuamente nella tentazione di lasciare, accelerare o sorpassare. “Non ho tempo” è diventata una parola d’ordine per ogni giorno, segno di un malessere profondo. La mancanza di tempo rende sterili tante relazioni: è la sterilità del “non ho tempo” e del “tutto e subito”.
La Pasqua è il tempo di Dio nei giorni dell’uomo. «Insegnaci a contare i nostri giorni» (Sal 90) significa proprio questo: incontrare nuove possibilità dentro il quotidiano divenire del tempo. La Pasqua è l’incontro con la Novità di Dio, che pone fine al nostro estenuante inseguimento alla ricerca di un senso della vita. Nel nuovo giorno che nasce, siamo chiamati a identificarci con il discepolo amato, il quale, dopo aver corso tanto, «vide e credette!». Siamo tutti invitati a fermarci, a recuperare la misura suprema della nostra identità, delle nostre relazioni. Siamo invitati a correre verso Qualcuno, verso un incontro che dia senso alla nostra fretta. Il «tutto e subito» distrugge la gioia dell’attesa, ma soprattutto la capacità di scorgere la speranza dentro lo scialo di morte che abbiamo costruito e ci circonda. Entrato nella tomba, il discepolo amato vide e credette. Come lui, dobbiamo re-imparare a fissare la morte per scorgere, tra i crepacci del nostro presente e della nostra storia, il fiore che sboccia inaspettato, il germoglio che nasce, il seme che cresce.
Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano