Il tema della Domenica
Oggi celebriamo il dono che, per i credenti in Cristo, è «la legge dello Spirito» (Rm 8,2). Nel giorno di Pentecoste – in ebraico, Shavuōt / Settimane (sette settimane dopo la Pasqua), Israele commemorava il dono più prezioso che Dio aveva fatto al suo popolo: la Torah, che fa vivere l’essere umano che la mette in pratica. Come per Israele la Torah è la strada della comunione con Dio e della libertà, così per i credenti in Cristo lo Spirito è la vita, che libera dalla legge del peccato e della morte per farci rivivere in Dio. E, come per Israele Shavuōt era la festa delle primizie e del mondo nuovo che germoglia sulle ceneri del vecchio, così la venuta dello Spirito sulla comunità cristiana primitiva è l’origine di un cammino nuovo, alla luce del Risorto. Un cammino di libertà, che si apre agli uomini e ai popoli di ogni razza e di ogni lingua, per farne una sola famiglia: la famiglia di Dio.
Prima lettura: At 2,1-11
La Pentecoste testimonia anzitutto che, dove lo Spirito di Dio discende, si genera una vera koinonia, un’autentica comunione. Quella comunione che Luca esprime con frasi come «tutti stavano insieme nello stesso luogo» e «tutti furono ripieni di Spirito Santo» e Paolo, invece, con «diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito, diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore, diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti».
Con un linguaggio più attuale, si potrebbe anche dire che essere Chiesa, essere-in-comunione-di-Spirito, è il contrario della vita in un “sistema”. Perché il sistema vive spesso senza mistero; ha bisogno di burocrati, funzionari che rischiano di dimenticare la loro umanità. Nel sistema le persone sono interscambiabili e, in fin dei conti, valgono poco o niente, perché sono funzionali alla sopravvivenza dell’apparato. Al contrario, la Chiesa è una comunità dove Pietro, Paolo, Barnaba… i discepoli tutti sono persone vive, che cercano, lottano, testimoniano… nell’ottica del reciproco rispetto e della reciproca accoglienza. Nella Chiesa abitanti della Mesopotamia e della Cappadocia, dell’Egitto e di Roma… sono chiamati a stringersi in una solidarietà, dove i princìpi di razza, di prestigio personale, di carriera… non costituiscono titolo di distinzione e tanto meno di disprezzo, ma di reciproco sostegno, perché «a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune… e in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo: giudei o greci, schiavi o liberi…» (1Cor 12,7.13).
A fondamento della comunità cristiana non sta l’elenco delle prestazioni ecclesiali né il curriculum dei successi. Per queste cose non c’è bisogno di una Chiesa. A fondamento della Chiesa sta l’essere-in-azione dello Spirito, il quale «attraverso le nostre discese agli inferi, … la gioia e la sofferenza, attraverso l’ineluttabile spogliazione quotidiana, ci farà entrare nella morte-risurrezione del Signore. Ci riunificherà tutti e riunificherà ciascuno di noi. Unificherà le nostre comunità, le nostre parrocchie là dove i rapporti tra gli uomini si trasformano appena si lascia che il Cristo viva in noi. Spezzerà il nostro cuore di pietra, farà del nostro cuore quel lago di lacrime in cui il prossimo riconosce il suo vero volto, ed è il volto del Risorto. Farà di noi, per riprendere un’espressione del patriarca Atenagora, degli uomini “disarmati” in cui preghiera e accoglienza del fratello sono una cosa sola. Allora saremo finalmente dei “viventi”» (O. Clément).
Il Vangelo: Gv 14,15-16.23b-26
Il suggestivo accostamento tra Spirito e Amore, tratto dal capitolo 14 di Giovanni, ci porta a riflettere su un altro degli aspetti fondamentali dell’azione dello Spirito nella comunità cristiana.
Una delle funzioni del Paraclito (Colui che – chiamato – si pone accanto), dice Giovanni, è quella di «insegnare e far ricordare tutto quello che Gesù ha detto». Non è difficile scorgere qui la funzione di ermeneuta che nella società ebraica del tempo veniva compresa come interpretazione autentica della Scrittura. Si tratta del ruolo che, per esempio, nella comunità di Qumran svolgeva il «maestro di giustizia». Ma lo Spirito ha un compito ben diverso da quello del responsabile di Qumran, perché lo Spirito è inviato dal Padre – come Gesù – e il suo essere Paraclito gli darà la possibilità di rimanere con i discepoli, per sempre. È da questa reciproca intimità che nasce la novità cristiana: la legge per il cristiano non è più esterna, ma interna, e si chiama Spirito Santo. È lui la chiave ermeneutica della Scrittura e degli eventi della storia; è lui che offre la chiave d’interpretazione autentica della vita.
Grazie allo Spirito, il cristiano non è sottratto alla legge, ma è signore della legge; grazie allo Spirito, nessuna legge umana sarà più riconosciuta come sacra, intangibile, assoluta, perché il cristiano sa che la storia dell’uomo è un cimitero di consuetudini e di norme che un tempo gli uomini ritenevano ottime e poi hanno sostituito con altre ritenute migliori.
Grazie allo Spirito, il cristiano non vivrà della legge della competizione, ma della legge dell’amore. «Noi tutti siamo degli esseri in competizione. Vogliamo lasciare un’impronta nella vita, vogliamo distinguerci. In maniera molto sottile, senza volerlo, e senza neppure averne coscienza, siamo costantemente in competizione con gli altri. Ci confrontiamo in continuazione… Anche quando ci dedichiamo a un servizio, qualunque sia, ci chiediamo se questo servizio supera quello degli altri… Passiamo il nostro tempo a chiederci chi siamo rispetto agli altri, sicché non ammettiamo mai pienamente che siamo simili e che è necessario rinunciare a questa differenza per andare là dove siamo deboli insieme con gli altri» (Nouwen). Vivere in uno stato di competizione perenne significa dire che siamo schiavi della legge e non siamo abitati dallo Spirito. Dire che la nostra legge è lo Spirito, ossia l’amore, significa riconoscere che la strada percorsa da Dio non è quella voluta dagli esseri umani: Dio non si è messo in competizione con noi, ma ha voluto un amore responsabile, libero e creativo. «Oggi non è più tempo di pensare a un Dio contro l’uomo, come ha avuto la tentazione di fare a volte la chiesa, né di pensare l’uomo contro Dio, come furono tentati di fare i grandi ribelli, i grandi atei dell’Europa moderna. Aprirsi al tempo dello Spirito, è aprirsi alla pienezza in cui il divino e l’umano si integrano l’uno con l’altro senza confusione né separazione. Il compito della chiesa, in questo tempo in cui la Pentecoste si intensifica, è quello di creare nel mondo uomini liberi, responsabili, creativi, capaci di rispondere all’attesa e alla nostalgia di Dio con un amore capace di illuminare tutta la vita» (O. Clément). Che sia questa la gioia della Pentecoste.
Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano