Commento alla Parola nella V Domenica di Quaresima /C – 6 aprile 2025

Il tema della Domenica

Un filo rosso attraversa le tre letture di questa quinta domenica di quaresima: il contrasto tra una dignità negata e una strada che inaspettatamente si apre in mezzo al deserto e alle strettoie della legge umana, permettendo di rialzare la testa e di guardare avanti nel cammino. Il popolo esiliato, che il Signore riporta nella sua terra (prima lettura), la giustizia di Paolo, che non viene dalla legge ma dalla fede (seconda lettura), e la sapienza di Gesù che libera un’adultera dal suo passato e dall’ipocrisia umana (vangelo) sono situazioni diverse, ma tutte segnate dalla dignità restituita e dalla speranza che germoglia nel deserto della vita.

Prima lettura: Is 43,16-21

L’oracolo di Isaia riguarda la fine dell’esilio babilonese. È una promessa di intervento, che si serve di immagini poetiche che fanno riferimento all’esodo. Nel versetto che precede l’oracolo riportato dalla lettura odierna, Dio ricorda la ragione profonda per cui ha deciso di intervenire ancora una volta: «Io sono YHWH, il vostro Santo, colui che ha creato Israele…». Dunque, se Dio agisce, operando un nuovo esodo, è in ragione della gratuità del suo amore: Dio ha creato Israele, lo ha scelto come suo popolo e, proprio grazie a questa appartenenza lo salva.

La santità di Dio è la ragione ultima di questo legame: una santità che significa qui legame indissolubile. Ed è significativo come Isaia ricordi costantemente che, mentre Israele, con i suoi peccati, può abbandonare YHWH (Is 1,4; cf. 5,24 e 30,11), Dio non può rigettare il suo popolo. Egli resta il Santo di Israele: «Io sono YHWH tuo Dio, il Santo di Israele, tuo salvatore» (Is 43,3).

Questa indefettibilità di Dio, questa fedeltà al suo “nome santo” è ben espressa anche nel cap. 20 di Ezechiele dove viene ripercorsa la storia di Israele secondo la visuale deuteronomistica: il peccato di idolatria, che è la colpa d’origine d’Israele, risale all’Egitto e si è poi perpetuato nella storia del popolo, provocando il disprezzo di Dio in mezzo alle nazioni. Ma Dio non ha abbandonato il suo popolo. Al contrario: Dio inventa continuamente qualcosa di totalmente nuovo e di inimmaginabile.

La liberazione dall’esilio e il ritorno sulla terra vengono descritti nel brano odierno con immagini completamente nuove. Accade qualcosa di superiore perfino all’esodo dall’Egitto. «Non ricordate più le cose passate» significa che le meraviglie del mare e dei carri al tempo dell’esodo sono un nulla rispetto a ciò che Dio si accinge a fare ora, nella fedeltà al suo amore gratuito, perché egli è alfa e omega, novità e consapevolezza, libertà e responsabilità. L’amore autentico rende responsabili: incomincia là dove finiscono le preoccupazioni per l’io e l’altro mi interessa più del mio benessere, della mia fama e della mia dignità. Tutto questo è all’origine dell’azione di Dio. Grazie a questo amore, un popolo avvilito e derubato della sua dignità può rialzare la testa e affrontare il futuro.

Il Vangelo: Gv 8,1-11

La dignità che sgorga dall’incontro con Gesù è pure il motivo conduttore del racconto dell’adultera. È noto che il brano non apparteneva originariamente al vangelo di Giovanni e che solo in un tempo posteriore vi ha fatto il suo ingresso, proveniente da un’altra fonte (Luca?). La sua accettazione liturgica avvenne molto tardivamente (qualcuno parla del V secolo) e alcuni studiosi indicano la causa di questo ritardo proprio nella naturalezza con cui Gesù perdona un peccato che era disciplinato dalla chiesa delle origini in modo piuttosto rigido. In ogni caso, anche se testualmente la scena è fuori posto, essa si adatta perfettamente al prosieguo del capitolo ottavo di Giovanni, dove si parla del giudizio veritiero di Gesù in contrasto con quello dei suoi oppositori. E proprio di giudizio si parla in questo episodio.

La scena è pennellata da un artista: gli scribi e i farisei accusatori conducono la donna come una preda; lei, svergognata, “in piedi, di fronte a tutti”, e Gesù curvo che scrive con il dito per terra. Agostino ha tratteggiato in modo mirabile il dramma, scrivendo: «i relitti sono due: la misera e la misericordia”. Da una parte una donna, ridotta a uno stato di completo avvilimento dalla sua colpa e da una legge che la condanna senza appello, e dall’altra gli zelanti tutori dell’ordine, che hanno a cuore la legge, ma non l’uomo, e la consolidata pratica di interrogare gli altri, ma non se stessi. Gesù – osservato speciale – costretto a emettere la sentenza.

«Ma Gesù si mise a scrivere col dito per terra». Di questo gesto sono state date numerose spiegazioni, più o meno plausibili. Spesso si è pensato che scrivesse i peccati degli accusatori o la sentenza su di loro, pronunciata poi nel versetto seguente; altri hanno pensato a delle linee indistinte, tracciate per contenere i sentimenti di ripugnanza verso chi tentava di tendergli un tranello; altri ancora – soffermandosi sulla terra e sul dito – hanno fatto riferimento alla legge di Mosè scritta sulla pietra con il dito di Dio: una Legge interpretata in modo nuovo da Gesù. Forse per comprendere a fondo l’atto dello scrivere dobbiamo portare la nostra attenzione a quanto Gesù dice subito dopo: «chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei», perché con questo pronunciamento Gesù rifiuta l’ipocrisia umana che utilizza lo zelo per la legge come un randello per condannare e abbattere. Si tratta di un pericolo che si annida in chi crede e in chi non crede, nei palazzi dei potenti e in quelli sacri, sulle strade del mondo e nelle case degli uomini: il desiderio di mortificare la dignità umana grazie a una libido del potere che si fa interprete persino della volontà di Dio. La salvaguardia di una legge non deve perdere di vista la dignità umana. Quando la difesa di un valore arriva al disprezzo dell’essere umano fino a calpestarne la dignità, quando si legifera solo in vista della punizione e della mortificazione della persona… allora si calpesta la speranza: rimane il regno degli “onnipotenti”.

Quando il processo si è liquefatto, rimangono solo Gesù e la donna: la misera e la misericordia, e Gesù può finalmente emettere la sua sentenza definitiva: «Nemmeno io ti condanno. Va’ e d’ora in poi non peccare più». La vita rinasce grazie a una Parola che non conosce condanna. Per i farisei, che l’avevano colta sul fatto, la donna era solo un’adultera: nient’altro. Per Gesù, invece, la donna che gli sta davanti non può essere definita soltanto dal suo peccato. Ogni uomo e ogni donna racchiudono un mistero che non può esaurirsi unicamente nel «già»; in ogni essere umano abita un «non ancora» di grazia, ancora inespressa. «Va’ e d’ora in poi non peccare più» è un atto di fiducia divina nella possibilità che ogni essere umano possa di nuovo alzarsi e andare!

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano