Commento alla Parola nella VII Domenica del Tempo Ordinario /C – 23 febbraio 2025

Il tema della Domenica

Distruttività e aggressione, ostilità e paura dominano di frequente relazioni e situazioni di vita, sia personale che sociale.  L’altro diviene spesso un nemico da abbattere, da conquistare o da vincere. Gli studi psicologici e antropologici ci documentano ormai, con abbondanza di prove, che nel dominio delle cose e nell’odio sottile che coltiviamo nei confronti degli altri si manifesta l’istinto mortale che abita dentro di noi. «Il peccato che abita in noi», di cui parlava Paolo, insidia profondamente le nostre relazioni e la nostra stessa sussistenza. Per alcuni è la natura stessa ad essere responsabile dell’aggressività umana, per altri, invece, il comportamento umano dipende dai condizionamenti sociali. Le letture odierne sono un tentativo di comprendere le radici della violenza alla luce della fede e offrono le premesse indispensabili per mobilitare l’amore per la vita e per tutto ciò che esiste.

Prima lettura: 1 Sam 26,2.7-9.12-13.22-23

La storia di Saul e Davide può essere letta da molti punti di vista, ma è anche la storia di una profonda relazione che, a poco a poco, si trasforma in irrimediabile frattura. Unto primo re di Israele dal profeta Samuele, Saul intraprende con successo diverse battaglie di liberazione, ma dimentica Dio. Al suo posto viene scelto il giovane pastorello Davide il quale, chiamato a corte dallo stesso Saul, a poco a poco diventa oggetto di gelosia da parte del re, tanto da essere costretto a fuggire nel deserto. È a questo punto che si inserisce l’episodio del libro di Samuele, riferito nella prima lettura. Con i suoi uomini scelti, Saul cerca Davide con l’intenzione di ucciderlo, ma da grande stratega quale appare in tutte le sue imprese, Davide programma un attacco a sorpresa nell’accampamento di Saul, durante la notte. L’attacco riesce e Davide potrebbe finalmente uccidere Saul, vendicandosi così di tanto accanimento omicida che il re d’Israele coltivava nei suoi confronti, ma non lo fa, perché Davide ha compreso che l’uomo non può farsi giustizia da solo.  La vita e la morte sono nelle mani di Dio e la magnanimità di Davide, che risparmia Saul, è da leggere alla luce di un’asimmetria che gradualmente, ma chiaramente, si fa strada anche nell’annuncio del Primo Testamento, fino a raggiungere la sua pienezza nel messaggio del Nuovo. La legge della reciprocità esigerebbe anche per Davide una giustizia fondata su “occhio per occhio, dente per dente”, ma questo principio antico, che pure aveva un fine positivo impedendo una vendetta illimitata, non appartiene né a Dio né all’uomo di fede, che non si fa giustizia da solo, rimettendo a Dio la sua causa.

Stando alla legge del taglione, anche la morte di Abele avrebbe comportato l’uccisione di Caino, e invece l’omicida è condannato solo all’esilio e Dio proibisce in maniera esplicita l’eliminazione del colpevole. Dio si comporta qui come un padre che corregge il figlio colpevole, ma gli garantisce la vita. In un commento alla decisione divina di castigare l’umanità con il diluvio, ma solo dopo sette giorni, S. Ambrogio ha colto bene la perplessità divina di fronte a una “giustizia” non connotata dalla misericordia: «Il Signore diede spazio alla penitenza, perché desiderava più perdonare che punire […]. Aspettò dunque anche durante il settimo giorno, lo stesso in cui si riposò dal lavoro, affinché, se fosse stato richiesto il perdono e fosse seguita la penitenza, potesse placarsi anche lo sdegno».

La storia di Davide e Saul si inserisce in questo contesto di misericordia e perdono: un comportamento asimmetrico che non conosce la legge della proporzionalità nella risposta al malvagio. L’atteggiamento clemente di Davide condurrà Saul stesso a riconoscere la sua colpa e ad augurare a Davide prosperità e benessere. Il nemico è stato vinto con il perdono.

Il Vangelo: Lc 6,27-38

L’amore del nemico è il cuore dell’etica di Gesù e il testo del discorso della pianura proposto dal terzo vangelo lo dimostra in tutta chiarezza. I nemici di cui parla Luca sono coloro che odiano, maledicono, calunniano, colpiscono, opprimono ripetutamente: coloro, insomma, che sono ostili ai discepoli di Cristo, per una qualche motivata o anche perversa ragione.

Non si tratta solo di odio che si crea nelle situazioni personali di vita, ma anche di odio verso la comunità cristiana in quanto tale, come mettono in evidenza i pronomi personali di seconda persona singolare e plurale, ripetuti più volte. Ed è proprio qui il paradosso e lo scandalo: la risposta cristiana dell’amore è immotivata dal punto di vista umano. La legge di una giustizia proporzionale esigerebbe tutt’altro atteggiamento, mentre Gesù proclama: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano…». In questo modo Gesù consegna ai suoi discepoli un modello radicalmente diverso dalla “misura della giustizia” vigente nei codici dei tribunali e nel costume. A differenza di Qumran – che considera “fratello” solo chi appartiene alla stessa comunità – e a differenza della prassi quotidiana – che di fronte all’aggressore si arma e reagisce –, Gesù chiede ai suoi di considerare “prossimo” anche il persecutore. L’imperativo di Gesù blocca la logica che regola il diritto leso e l’istinto umano, proponendo un rapporto libero di amore fattivo e asimmetrico: «odia il tuo nemico» diventa «amate i vostri nemici».

Svincolato dal principio di reciprocità e da qualsiasi finalità e/o tatticismo – inclusi la conversione e il legame “naturale” – l’amore cristiano trova la sua ragione solo nel comportamento di Dio. Non si presenta, infatti, un modello stoico e neppure la volontà di scommettere sull’amore per conquistare l’avversario. Non vengono menzionati neppure eventuali risultati futuri; viene solo presentato il modello divino e l’obiettivo di diventare «figli dell’Altissimo (Matteo ha “Padre celeste”), che è buono verso gli ingrati e i malvagi».

Il motivo che fonda l’amore verso i nemici è il comportamento di Dio, che ha compassione verso tutti, come afferma il Sal 145: «Il Signore è buono con tutti e la sua compassione è per tutte le sue creature». L’atteggiamento cristiano non è motivato dunque da progetti comuni, sintonia culturale o scopi sociali: il fondamento è teologico. Luca invita i suoi lettori a riprodurre, nel proprio modo di amare, i tratti caratteristici dell’amore benevolo e misericordioso di Dio. Il nemico e il malvagio restano per il cristiano “prossimo”, perché alla giustizia divina non può bastare che il malvagio sia vinto; a Dio preme che il colpevole sia redento. Una logica sconvolgente, non possiamo negarlo. È ovvio che questa logica non può fungere sic et simpliciter da carta costituzionale per società o per stati. L’ho detto: questo discorso è rivolto a dei credenti. E tuttavia la croce di Cristo conferma che la giustizia è soddisfatta quando non solo Abele, ma anche Caino trova pace nell’abbraccio del Padre. Grazie all’Amore.

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano