Commento alla Parola nella VIII Domenica del Tempo Ordinario /C – 2 marzo 2025

Il tema della Domenica

In questa domenica, che precede immediatamente il tempo quaresimale, la Parola ci porta a riflettere ancora una volta sulla Sapienza, con l’invito ad aprire alla novità di Dio i nostri angusti orizzonti e le nostre esperienze culturalmente segnate da una pigrizia mentale che lascia poco spazio allo Spirito. Dar credito alla sapienza di Dio significa dischiudersi a una logica che è oltre la sapienza umana: una sapienza, questa, che è pur sempre quella del giorno dopo. Dio è sempre nuovo e diverso e per questo va sempre cercato, perché non può essere mai posseduto né rinchiuso in schemi mentali marginali e appassiti.

Prima lettura: Sir 27,5-8

Il breve passo del Siracide che viene offerto in questa domenica, mette in evidenza il criterio che permette di misurare il valore di una persona, enunciato nel «suo modo di ragionare». Perché è questo, continua il Siracide, il banco di prova di un essere umano. Leggendo questo passaggio nel contesto e più profondamente, ci si rende conto che una massima così imprecisata e indefinita spinge tuttavia il lettore a porsi di fatto una domanda: su quali princìpi è fondato il modo di ragionare dei credenti? Su quale logica? E la morale, che accompagna il nostro agire, è a immagine e somiglianza di Dio oppure risponde a codificazioni umane rassicuranti e addomesticate a proprio uso e consumo? In fondo è qui il punto discriminante, messo in evidenza anche da Paolo, quando afferma: «Tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero… Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria». Abbiamo, dunque, due sapienze, due logiche: una si ciba di sopraffazioni e arroganza che sottomette e schiaccia, a differenza dell’altra che appartiene alle vittime perseguitate e oppresse. Come riconoscerle? Il Siracide offre un criterio che viene approfondito, poi, nel Vangelo: «il frutto dimostra come è coltivato l’albero». Si tratta di un riferimento assai comune nella sapienza antica, un principio preso in prestito anche dalle parole di Gesù, riportate da Luca nel Vangelo odierno (Lc 6,43-45).

Il Vangelo: Lc 6,39-45

Il passo lucano presentatoci dalla liturgia odierna riprende non solo il motivo del Siracide appena presentato, ma anche il testo evangelico di domenica scorsa, appartenente al discorso di Gesù ai discepoli su un luogo pianeggiante (cf. Lc 6,12). Si insiste sul metro di valutazione di sé e degli altri. In maniera assai evidente, i due testi suppongono una comunità lacerata da giudizi reciproci e da situazioni in cui alcuni si ritengono superiori agli altri: una comunità dove persone cieche scrutano la pagliuzza nell’occhio del fratello senza considerare la propria trave. Ci si fida troppo dei propri giudizi, senza tenere in nessun conto il giudizio di Dio. La serietà con cui gli evangelisti denunciano l’ipocrisia, non va compresa principalmente sulla base dei comportamenti del partito dei farisei, esterno alla comunità cristiana, ma alla luce di quanto avviene all’interno, dove la menzogna rischia di portare la comunità alla rovina: ciechi che guidano altri ciechi.

Non è facile comprendere quale sia la situazione reale che è alla base di un giudizio tanto severo, ma il contesto comunicativo della sezione evidenzia una comunità che ascolta, ma non fa secondo quanto ascoltato. Si tratta forse di un ascolto a mezz’orecchio, che disprezza Dio e i fratelli / sorelle. Una comunità che, probabilmente, evita di farsi domande scomode, accontentandosi di un Dio “addomesticato” all’esteriorità di una pietà superficiale. Infatti, nel versetto che segue il brano odierno, Gesù rimprovera con asprezza i cristiani che appaiono come uomini pii (Kyrie! Kyrie!), ma operano malvagità: «perché mi chiamate ‘Signore, Signore’ e non fate ciò che dico?» (9,46). Un rimprovero decisamente sconvolgente se si pensa che è indirizzato a credenti “ortodossi”, che riconoscono in Gesù il Kyrios! Di fronte a questa situazione intra-comunitaria, Luca annuncia una nuova reciprocità tra i membri della chiesa di Cristo e offre un criterio per discernere la bontà delle persone: le opere. Il bene viene da un cuore buono, le malvagità da un cuore cattivo. Anche per Luca, come per Matteo, l’ortodossia (il retto intendere) è menzognera se non viene accompagnata dall’ortoprassi (il retto agire).

Cosa fare, dunque? E come far sì che i comportamenti siano autentici? Luca non si stanca di ripeterlo: la coscienza del proprio limite e il conseguente atteggiamento di misericordia è ciò che risponde meglio al sentire di Dio. Tutto questo, però, non deve costituire un alibi al dovere di un’assunzione di responsabilità che non conosce misure. L’etica della responsabilità è il fondamento dei rapporti reciproci. L’atteggiamento cristiano, pertanto, non si ispira a un puro umanesimo e tanto meno a interessi e convenienze. La cultura greco-romana conosceva la regola della reciprocità e dell’amicizia, ma non è questo il modello del discorso di Gesù nel Vangelo di Luca. Si tratta piuttosto di quella che potrebbe essere definita una «nuova reciprocità», che ha come “criterio” la responsabilità divina e quella umana.

Luca invita i suoi lettori a riprodurre nel proprio modo di amare i tratti caratteristici dell’amore benevolo e misericordioso di Dio. Questo non significa però assumere come criterio un’indulgenza forzata che interpreta il male come se fosse bene e chiude gli occhi sulle viltà, finendo per approvare ciò che va invece biasimato. No! Si tratta invece di amare come Dio ci ha amato e di vivere nell’autenticità. Svincolato dall’assioma della reciprocità e da qualsiasi altro interesse e tatticismo, l’amore cristiano trova la sua ragion d’essere solo nell’atteggiamento di Gesù, perché il discepolo non è al di sopra del maestro. Come modello non si assume dunque un pur nobile principio stoico e neppure la sfida di chi scommette sull’amore per conquistare l’avversario. Non vengono menzionati eventuali risultati futuri. Viene solo presentato il modello divino, formulato nella massima che presiede il brano di domenica scorsa e il brano odierno: siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso! (v. 36).

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano