Il tema della Domenica
La parola odierna offre diverse piste di lettura, tutte molto significative. Ci si potrebbe soffermare, ad esempio, sul problema del male e della sua origine oppure sulla forza liberante che Gesù manifesta nella proclamazione del Regno e nell’abbattimento di Satana… Il testo della Genesi, con gli eventi successivi al peccato dell’uomo nel giardino dell’Eden, e il passo di Marco con la polemica verso gli scribi e il riconoscimento da parte di Gesù dei suoi “veri” parenti offrono tanti spunti interessanti e attuali. E tuttavia, se vogliamo cogliere il senso profondo di questa domenica, dobbiamo necessariamente partire dalla domanda che Dio rivolge all’uomo nella prima lettura della Genesi: “Adamo dove sei?”. È la domanda di senso, rivolta a ogni essere umano perché Adam siamo tutti noi, e dal riconoscimento di questa verità, dal riconoscimento di ciò che siamo dipende la nostra appartenenza a Dio e la nostra parentela con Cristo, di cui parla il Vangelo.
Prima lettura: Gen. 3,9-15
La domanda Adamo, dove sei? riguarda tutti, nel profondo: come individui, come comunità, come Chiesa. Essa viene magistralmente illustrata da Martin Buber: “Adamo si nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla responsabilità della propria vita. Così si nasconde ogni uomo… Proprio nascondendosi così e persistendo sempre in questo nascondimento… l’uomo scivola sempre, e sempre più profondamente, nella falsità. Si crea in tal modo una nuova situazione che, di giorno in giorno e di nascondimento in nascondimento, diventa sempre più problematica… Ed è proprio in questa situazione che lo coglie la domanda di Dio: vuole turbare l’uomo, distruggere il suo congegno di nascondimento, fargli vedere dove lo ha condotto una strada sbagliata… A questo punto tutto dipende dal fatto che l’uomo si ponga o no la domanda” (Il cammino dell’uomo).
Di fronte a questa domanda non possiamo e non dobbiamo fuggire. Ogni uomo e ogni comunità è nella situazione di Adamo: sempre tentato di fuggire da sé e dalle proprie responsabilità, dalla propria strutturale fragilità. Nel racconto più antico della creazione, l’ingresso dell’uomo nello scenario dell’universo viene descritto con queste parole: Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente (Gn 2,7). Ecco il posto originario dell’uomo! Il testo ebraico usa il termine ’adam, imparentato con la polvere della terra (ʼadamah), suggerendo la fragilità strutturale da cui tutti siamo costituiti. Questo significa che l’orizzonte umano è costituito dalla fragilità e dal limite. Riconciliarsi con questa verità essenziale è principio di saggezza, perché la presunzione acceca e solo chi riconosce il proprio limite costruisce nella verità. Avere il senso della fragilità significa essere consapevoli che l’essere umano è sempre frammentario e frammentato, condizionato dalla parzialità nella sua conoscenza e nei suoi progetti, nelle sue idee e nella formulazione dei suoi giudizi. Il credente adulto non deve fuggire di fronte a questa realtà, ma deve essere consapevole della caducità che contrassegna tutte le intenzioni e le opere umane. Tale atteggiamento rende consapevoli e discreti nel confronto quotidiano con altri progetti e altri uomini, che operano in strutture diverse. Non si può fuggire, perché fuggendo si rischia di trasformare l’esistenza in “un congegno di nascondimento”, che di giorno in giorno diventa sempre più problematico. La domanda di Dio “dove sei?” chiude le strade di fuga che l’uomo è tentato perennemente di imboccare. Ecco, dunque, delineato l’imprescindibile punto di partenza, non solo a livello personale, ma anche a livello comunitario ed ecclesiale. Tuttavia l’interrogativo di Dio ha un ulteriore funzione: quella di mettere Adamo sulla via del ritorno e della riconciliazione. È la strada che ci indica il passo del Vangelo di Marco.
Il Vangelo: Mc 3,20-35
In ebraico la conversione viene espressa con il termine teshuvah, che vuol dire ritorno (dal verbo shuv / tornare). Un termine caro ai profeti, che vedevano nel ritorno a Dio, al “vero” Dio, il segreto di ogni autentica trasformazione del mondo. Gli scribi che accusano Gesù di essere posseduto dal demonio sono incapaci di vedere la verità di Dio, perché non accettano di riconoscere la propria verità davanti a Lui. È l’arroganza del potere, che rende ciechi, l’arroganza di chi interroga gli altri senza mai interrogare se stesso. Ed è proprio qui il peccato d’origine, il peccato imperdonabile contro lo Spirito di cui parla Gesù. Solo l’uomo ha il potere di rendere imperdonabile un peccato, rifiutando di riconoscerlo e sostituendo l’«Io» di Dio con l’idolatria verso il proprio «io». L’«ego» ha il potere di diventare ipertrofico e l’ipertrofia dell’«ego» invade ogni cellula: da quel momento non c’è spazio per l’Altro, ma solo per chi ha occupato il posto di Dio.
“Adamo dove sei?” vuole portare l’uomo ad abbandonare l’idea che Dio possa essere “altrove”. Nella Bibbia, Dio non è altrove, ma altrimenti e questo significa che riconoscere il nostro limite è la condizione necessaria per incontrare l’altro, chiunque esso sia. Dio non si manifesta altrove, ma proprio là dove noi siamo: nella storia che ci è toccata in sorte, nel mondo dove ci è dato di vivere, nella generazione in cui siamo posti… Non si deve pensare che il riconoscimento del limite equivalga a un atteggiamento di fatalismo o di rassegnazione. Al contrario! L’accettazione del limite equivale a riconoscere che la vita dipende dalle relazioni che stabiliamo con gli altri e con l’Altro! Come per gli scribi, il conflitto ha spesso radici in noi stessi e pertanto solo ritornando alla verità del noi, possiamo recuperare il senso di responsabilità reciproca, senza le alienanti accuse vicendevoli.
Un racconto rabbinico riferisce che Rabbi Mendel chiese a bruciapelo ai discepoli: “dove abita Dio?”. I discepoli si meravigliarono della questione posta dal maestro: il mondo non è forse pieno della Sua gloria? Ma il Rabbi riprese: “Dio abita dove lo si lascia entrare”. Dio sta alla porta e bussa: entra solo nella casa di chi ha il coraggio di aprirgli la propria storia. La nostra vita con le sue crisi e le sue disobbedienze è sotto gli occhi dell’Onnipotente: non abbiamo bisogno di nasconderla, ma di trasfigurarla; metterla nelle mani di Colui che può strapparla alla morte. Ritrovare la centralità di Dio negli impegni quotidiani significa ritrovare il senso di ciò che siamo: un compito non solo necessario, ma indispensabile. Proiettati come siamo a cercare “altrove” l’appagamento della nostra esistenza, perdiamo di vista il senso che si trova in ciò che ci è dato di fare. Perché il Regno di Dio è nel mondo migliore che ogni giorno costruiamo, nell’essere umano che quotidianamente incontriamo, nel povero che oggi sfamiamo.
Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano