Commento alla Parola nella XIV Domenica del Tempo Ordinario – 6 luglio 2025

Il tema della Domenica

Difficile parlare di pace, oggi. Eppure, sia la prima lettura di Isaia che il racconto dell’invio dei 70/72 discepoli dell’evangelista Luca sfidano i costumi del nostro tempo e inneggiano alla pace. Illusione? Inganno? Rimando a un ipotetico futuro di Dio senza riscontri nel presente? Vagheggiamento di un mondo diverso, mentre sulla terra scorre sangue innocente ad opera di poteri menzogneri e crudeli? La Parola di questa Domenica non stimola all’evasione, ma all’impegno e alla responsabilità, perché il Progetto di Dio non venga meno.

Prima lettura: Is 66,10-14c

Le parole di Isaia richiamano un periodo in cui la catastrofe dell’esilio è alle spalle, ma il tempo della delusione non è ancora finito, perché il paese è comunque distrutto, il tempio non è stato ancora ricostruito e il ritorno da Babilonia, salutato con entusiasmo dagli esuli nostalgici di Gerusalemme, non ha lasciato ancora comparire i frutti sperati. È proprio da qui che nasce la speranza. E, come sempre, simbolo dell’attesa futura segnata dal benessere e dalla pace diventa la città di Gerusalemme. Il nome Yerushalaim è una forma duale, alquanto misteriosa, come se fossimo di fronte a una di quelle bipolarità, che contrassegnano sotto tanti aspetti la storia della città. Quanti misteriosi risvolti racchiude questa città sempre sulla sponda dell’eternità e dell’abisso: una città abitata dalla santità di Dio e da nefandezze, «la città del gran Re» che «uccide i profeti e lapida gli inviati di Dio» (Mt 23,37). Due città, dunque? E, quando Isaia – nella lettura odierna – invita a rallegrarsi e a gioire per Gerusalemme che risorge dal suo lutto, con i bimbi di nuovo «portati in braccio e sulle ginocchia accarezzati», profetizza un futuro utopico? No! Isaia non sta profetizzando un «altro» mondo, ma la trasfigurazione di «questo». Parlando del mondo che verrà (cf. Mt 22,23-33; ecc.), della Gerusalemme nuova o di cieli nuovi e terra nuova (Is 65,17; 66,22; Ap 20; ecc.) non si vuole in nessun modo negare l’incrollabile fedeltà di Dio a «questa» prima e unica creazione.  La nuova Gerusalemme sorgerà là dove dimora l’antica, e cioè dove uomini e donne camminano nella giustizia e nella fedeltà, nella verità e nella pace.

Mi sembra che un passo di Bonhoeffer possa riassumere bene il destino di Gerusalemme e l’attesa della Gerusalemme futura. Scrive Bonhoeffer: «La nostra esistenza visibile (potremmo anche dire: la Gerusalemme visibile) può essere ciò che si vuole: può svolgersi raccogliendo grande mèsse di considerazione, di onore, di celebrità oppure trascorrere nell’obbrobrio e nell’umiliazione, crollare sotto il peso della disperazione e della colpa. Può esser nobile, eroica, grande o meschina, folle e disillusa. La nostra esistenza può cantare la gioia felice o essere martellata dall’accusa… Dominata dai demoni, impigliata nella crisi, annegata nella colpa… percorre i suoi sentieri di tenebra… Ma tutto ciò è abolito da Dio; è morta, ma strappata da Dio alla morte; è perduta, ma salvata da lui… Dio avrebbe il potere di annientare i peccatori come noi e creare uomini nuovi. Avrebbe il potere di cancellare la nostra vita e di prepararci una vita completamente nuova e libera. Invece no: così com’è, egli la glorifica, le dona la possibilità di giungere alla sua gloria incommensurabile. La nostra esistenza visibile (la Gerusalemme visibile, aggiungo io) con le sue gioie e i suoi successi, le sue preoccupazioni, la sua disobbedienza è lì… sotto gli occhi dell’onnipotente, ora, domani e per l’eternità».

Il Vangelo: Lc 10,1-12.17-20

L’invio dei settantadue discepoli (dopo quello dei Dodici) esprime la volontà divina di salvezza espressa nella prima lettura, facendone una salvezza universale. Anche se la metafora degli agnelli in mezzo ai lupi esprime la sofferenza e il rischio dei testimoni, il primo annuncio da offrire agli uomini è «pace a questa casa!». Il concetto anticotestamentario di shalôm ab­braccia una vasta gamma di beni salvifici, fisici e spirituali: salute, benessere, relazioni sane e appaganti, benedizione… La «pace» è il bene messianico per eccellenza (Is 9,1-6; 11,6-9) e un detto rabbinico proclama: «Grande è la pace! Poiché nell’ora in cui il Re mes­sia si manifesta, egli inizia con niente altro che con una parola di pace; come sta scrit­to: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace” (Is 52,7)». La pace richiede ai suoi messaggeri un essere-per-gli-altri, senza interessi personali, con il cuore ancorato all’unico valore insostituibile: «è vicino a voi il regno di Dio!». L’accoglienza non è scontata, ma ogni uomo e ogni donna sono posti di fronte a una scelta che, in ogni caso, risulta decisiva e avrà conseguen­ze dirom­penti.

La gioia è il motivo che contrassegna il ritorno dei discepoli dalla missione, come caratterizzava lo sguardo sul futuro di Gerusalemme nella prima lettura del profeta Isaia. La menzione della caduta di satana, del cammino sopra serpenti e scorpioni e il linguaggio simbolico sono di stampo apocalittico, ma ciò che conta in questa visuale è il messaggio: la spirale del male sarà spezzata dall’annuncio degli evangelizzatori. Con la proclamazione del Regno, l’agire salvifico di Dio non è più una promessa, ma una realtà. Nelle parole degli evangelizzatori, nella loro vittoria sulla malattia e su ogni genere di male si realizza l’utopia di un mondo giusto e felice, che la Promessa di Dio trasforma in possibilità oggettiva, quando gli esseri umani saranno pronti a tradurla in realtà.

L’esortazione conclusiva di Gesù riporta nella giusta collocazione le opere potenti dei discepoli, sempre tentati di conferire troppa importanza agli eventi sensazionali. Una sola è in realtà la cosa che conta e che è all’origine della gioia autentica: «rallegratevi che i vostri nomi sono scritti in cielo!». Questa ultima bella metafora rimanda alla certezza di essere amati da Dio, di godere della sua intimità e della sua pace. Il nome richiama la persona che lo porta, nella sua unicità di rapportarsi all’altro e agli altri. Ma la prima relazione, che dà senso ad ogni altra, è la relazione con Dio. È questa la ricompensa dei giusti, che costruiscono la Gerusalemme nuova, la città della pace: avranno Dio dalla loro parte e nessuna loro lacrima scorrerà invano, nessun sospiro verrà ignorato, nessuna sofferenza disprezzata, e nessuna gioia perduta… Il loro ardente desiderio non sarà quello dei dominatori del mondo che amano il possesso e aspirano al potere. L’unico desiderio sarà quello di far conoscere Dio e il suo Regno di giustizia e di pace.

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano