Commento alla Parola nella XVII Domenica del Tempo Ordinario /B – 28 luglio 2024

Il tema del giorno

Il pane è il motivo che domina le letture di questa domenica. Con il mistero che esso racchiude, perché il pane rappresenta il bisogno dell’uomo e la sua sete di potere, la sua necessità primaria e la sua tentazione. Per il pane l’uomo geme e s’affatica, lotta con la terra e con i suoi simili, vende la sua reputazione e la sua libertà. Esiste il pane della discordia e dell’ignominia, perché la lotta per il pane – e per ciò che esso rappresenta – divide gli uomini in amici e nemici, sfruttatori e sfruttati. Ma esiste anche il pane condiviso: il pane della fratellanza e dell’amicizia, della fiducia e dell’appagamento. Il pane negato è assenza di vita e frustrazione profonda, privazione di amore e di lode; il pane condiviso è vittoria sulla disperazione e canto alla vita.

Prima lettura: 2Re 4,42-44

Il racconto contenuto nella prima lettura appartiene a un complesso taumaturgico che riguarda il profeta Eliseo. In questo ciclo si raccontano una serie di miracoli che hanno una funzione importante, perché vogliono suscitare nei lettori una riflessione profonda sull’uomo di Dio, il quale – nella povertà dei mezzi di cui dispone – si affida tuttavia al Signore della vita, con la certezza che sarà Dio stesso a farsi responsabile dei deboli e dei poveri. Il profeta rappresenta l’uomo di fede che, nello scarto tra il poco che possiede e l’enorme quantità che sarebbe necessaria, si affida alla potenza Dio. Con questa fiducia piena nel Dio dei poveri, Eliseo viene in soccorso prima di una vedova, poi di una donna di Sunem che aveva perso un figlio (4,8-37), e infine di un circolo di profeti, scampati all’avvelenamento proprio grazie all’uomo di Dio (2 Re 4,1-41).

Il racconto della moltiplicazione dei pani si inserisce in questo ciclo. Un racconto semplice e lineare nella sua struttura, ma ricco di profonda umanità e di fede autentica. Secondo un antico rito, divenuto poi legge del Signore, riportata dal Levitico (c. 23), le primizie del raccolto dovevano essere offerte al Signore, come riconoscimento che tutto viene da Lui e tutto gli appartiene. Grazie a questo comandamento, un possidente terriero porta le primizie a Eliseo come gesto di devozione verso il Signore. È tempo di carestia ed Eliseo pensa di condividere i venti pani d’orzo ricevuti in dono con la gente del posto. Un servitore gli fa notare l’inadeguatezza del gesto: cosa sono venti pani per cento persone?  Eliseo, però, parte da un altro punto di vista: ciò che è insufficiente allo sguardo umano non è detto che lo sia anche davanti a Dio. In realtà l’uomo ha sempre poco tra le mani, perché – nonostante le apparenze – è la carenza e l’incertezza che dominano l’esistenza umana. Si ha poca luce per sapere cosa ci attende domani, poco coraggio per affrontare lo sconquasso di una malattia, poca speranza per un futuro colmo d’incognite. È la situazione umana. E tuttavia, alla luce della fede, Eliseo pensa che i venti pani d’orzo sono sufficienti se condivisi nel nome del Signore.

È proprio qui il primo messaggio del testo, che mi sembra profetico anche dal punto di vista umano, data la situazione odierna, che vede più della metà della popolazione mondiale vivere con meno di due dollari al giorno. Il gesto di Eliseo diventa metafora non di un atto di elemosina – che sarebbe ormai assolutamente insufficiente per tanta gente affamata che si accalca sulle porte degli epuloni della terra – ma di una scelta di condivisione volontaria e radicale. Il passaggio dall’elemosina alla condivisione di ciò che abbiamo è il gesto profetico che siamo chiamati a porre come cristiani nel mondo di oggi. I poveri della terra non hanno più bisogno di elemosine e di prestiti mercenari, ma di scelte di giustizia. È per giustizia e non per una bonaria e sterile compassione che siamo chiamati a condividere quello che è in nostro possesso, prima che sia troppo tardi per tutti.

E tuttavia questo che è, di per sé, già un dato assolutamente fondamentale, non esaurisce il messaggio del testo biblico. Il Vangelo presenta un ulteriore aspetto, che non annulla il primo, ma lo inserisce in un contesto di fede ben più coinvolgente. 

Il Vangelo: Gv 6,1-15

Il brano desunto dal Vangelo di Giovanni è la prima parte di un lungo capitolo che ci accompagnerà nelle domeniche seguenti. Il narratore segnala subito che la festa di Pasqua era ormai vicina. La nota non è superflua, perché alla luce di questa festa il lettore, a differenza dei discepoli presenti al momento, comprende fin dall’inizio che non si parlerà solo del cibo corporale e che la folla accorsa da Gesù non aveva bisogno solo di pane.

Filippo e Andrea, invece, non guardano a fondo e si limitano ad usare le armi della ragionevolezza e del buonsenso: “Duecento denari di pani non sono sufficienti… C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?”. Ritorna il motivo della pochezza umana. La logica umana dice “non basta”, ed è vero, perché la comprensione umana degli eventi si basa sul calcolo e, molto spesso, anche questo calcolo è viziato da un tornaconto. Così avviene, per esempio, nella distribuzione dei beni del pianeta terra e così avviene nei preventivi dei potenti di turno: “non basta”. Gesù mostra un’altra logica, un’altra strada. Anzitutto lo fa ponendo anche lui una domanda: “Da dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. A differenza di molte traduzioni in lingua volgare, il testo greco sottolinea il donde / da dove (pothen) si possa comprare del pane per tanta gente. L’avverbio è molto importante nella teologia del Quarto Vangelo, perché rimanda a un mistero che non si esaurisce nei calcoli e nella visibilità: il mistero di Dio da cui Gesù è disceso. È anzitutto qui la sfida per i credenti: la sapienza pragmatica a cui l’uomo è legato non esaurisce il senso del mondo e delle cose del mondo. Chi parte dalla logica di Dio, dal suo mistero, non eccede in trionfalismi presuntuosi quando le cose vanno bene e non crolla nella disperazione quando vanno male. Ancorati al punto di vista di Dio, i credenti sanno che cinque pani d’orzo e due pesci possono bastare quando non sono sottoposti al calcolo del tornaconto e del possesso. Fuori metafora, rovesciando l’argomentazione: non potrebbe darsi che la sterilità di tante nostre opere e istituzioni sia dovuta non tanto alla mancanza di uomini e di mezzi, ma alla perdita di una dimensione di fede che sa osare? Sono i mezzi che mancano o è la fede che non osa più? Quando viene meno la fede rimangono solo gli involucri e le formule vuote, senz’anima. I gesti che Giovanni lascia fare a Gesù – prese i pani, rese grazie, li distribuì…– rimandano chiaramente al mistero eucaristico: il vero mistero dal quale nasce la Chiesa e ogni opera della Chiesa. I dodici (!) canestri raccolti (!), dopo che tutti ebbero mangiato, e si furono saziati richiamano la comunità ecclesiale, dove si celebra l’eucarestia. È questo il segno autentico da cui ogni comunità ecclesiale deve partire per comprendere la pienezza di grazia e di verità nascosta nel pane e nei mezzi della madre terra.

Il racconto si chiude con un equivoco sensazionale, ma comune nella storia del mondo e della chiesa: di fronte a un tale portento la gente crede di aver trovato finalmente la soluzione ai problemi quotidiani, il capo che cercava, ma Gesù, sapendo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.  Noi andiamo a Dio con i nostri bisogni e le nostre attese frustrate e Dio si ritrae per portare avanti la sua Promessa.

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano